venerdì 18 dicembre 2009

La bellezza dell'avvento

La bellezza dell'avvento é attendere, in una tensione viva verso ció che deve avvenire; la vita non dipende di noi per spuntare, ma spetta a noi riconoscerla e scommetterci, perché non passi inosservata e forse neanche piú torni.

I Vangeli dell'avvento mettono bene a fuoco questo compito: vigilanza, spirito di iniziativa, impegno, tempo da dedicare per preparare la nostra casa, cosí che Dio entrando vi si senta bene e rimanga con noi.
L'ultima domenica prima di Natale convoca due donne, sapienti nell'attesa, per darci gli ultimi consigli. Da Maria e Elisabetta impariamo tre lezioni: camminare, incontrarsi e sorprendersi.

Camminare: Maria cammina in fretta per visitare Elisabetta, cosí come la gente nordestina ama camminare e visitarsi. Come é bello andare per le strade della cittá e dei villaggi per cercare altra gente! E come é bello stare in casa aspettando questa visita!
É stata l'esperienza delle nostre ultime 'Missioni Popolari', nelle zone interne della parrocchia: il giorno intero camminando sotto il sole, con la sfida di non trascurare nessuna casa e visitare tutti. Cosí si ripete, anno dopo anno, una fecondazione di speranza per la nostra gente.
Il cammino di Maria assomiglia molto anche al cammino di dona Rosa: lei ogni mese percorre 13 Km per partecipare agli incontri del nostro gruppo di difesa dei diritti umani. Dona Rosa ha perso sua figlia, di 13 anni, travolta dal treno che trasporta il minerale di ferro e che corre calpestando i diritti della gente lungo la ferrovia.
Il pellegrinaggio in cerca di giustizia di dona Rosa sta seminando vigore e fiducia nelle altre persone: per riconoscere la vita che viene, bisogna esse persistenti.

Incontrarsi: dev'essere stato un vuoto interiore, misto di paura e confusione, a spingere Maria in cammino verso Elisabetta. Anche oggi le persone, confuse e indebolite, hanno molto bisogno di incontrarsi. All'inizio sembra uno sforzo contro corrente, ma chi riesce a superare la resistenza dell'isolamento e dell'individualismo sente il gusto e la bellezza dell'incontro.
Durante tutto l'anno, la nostra gente si é incontrata nelle case molte volte, pregando e condividendo la Parola di Dio, in piccoli semplici gruppi biblici. Si é ripetuta, nella storia di oggi, l'irruzione dello Spirito Santo nelle case dei piú semplici.

Sorprendersi é lasciarsi stupire dalla bellezza inattesa e nascosta che scopriamo all'improvviso nei fatti della vita; é qualitá dei bambini, per i quali tutto é nuovo e speciale. E cosí, il bambino nel ventre di Elisabetta salta di gioia e ci invita a riconoscere i fatti di speranza quotidiana.
Quando, assieme alla gente, tentiamo riscattare i maggiori segnali degni di stupore, molti indicano la resistenza dei piccoli.
Selma ne é un esempio: lottando per settimane intere per un diritto che dovrebbe esserle garantito (l'emodialisi gratuita), al limite fisico della sopravvivenza, ha raccolto un gruppo di donne attorno a sé. Chi cucinava per lei, chi le lavava i vestiti... e chi alzava la voce in suo nome contro i servizi pubblici sordi e indifferenti.
La resistenza delle donne ha vinto l'ipocrisia del nostro sistema municipale di salute pubblica: sará Natale anche per Selma, sará Natale perché ancora bambini e sogni sobbalzano nel ventre dei piccoli, che camminano, si visitano e riscaldano la speranza!

sabato 14 novembre 2009

Nel paese dei balocchi

Nel paese dei balocchi i bambini e le ragazzine sono come bambole.
Le compri a poco prezzo, venti o trenta reais, che sono circa dieci euro. Ma poi puoi farci quello che vuoi.
Ci giochi da solo, o in gruppo. Ti diverti di nascosto o lo mostri a tutti: oggi col cellulare puoi registrare i momenti più belli della tua vita. E così le foto delle tue bambole girano su tutti i telefonini della città; solo non appare il tuo volto: stonerebbe, tra la bellezza innocente dei tuoi giocattoli.

Si rompono in fretta, però. Oppure, quando diventano un po' vecchi, non ti piacciono più.
Ma non c'è problema, perché in fabbrica ci sono ancora molte bambole in deposito, basta solo mandarle a prendere.

Molti giocano in casa: è più sicuro, al massimo basta mettere un po' di paura alle bambole perché non dicano alla mamma che il papà scherza con loro.
Altri sono più organizzati: preparano una festa, chiamano altri 'bambinoni' come loro e si scambiano i regali.

C'è anche una magia: quando ad una bambolina di undici o dodici anni nasce un figlio, all'improvviso si trasforma in mamma, e il gioco continua con una regola nuova (“vai avanti da sola fino alla fine”).
La maggior parte dei giocatori grandi, dicono, è già stato una pedina di questo stesso gioco.
Quando finirà?

Tutto il mondo è paese, paese dei balocchi. Ma che tristezza quando ti accorgi che anche nella tua città è così...


PS: Açailândia, piccola città all'interno del Maranhão, conosce mediamente una denuncia di questo tipo per settimana. Ma la maggior parte dei casi viene ancora nascosta, per complicità o paura...

martedì 29 settembre 2009

Si chiamavano Maria

Maria Bernardina la ho conosciuta in ospedale. Respirava a stento, lentamente esalando uno ad uno i suoi 95 anni.
Pochi giorni dopo mi chiamano per benedire il suo corpo prima della sepoltura. Arrivo e incontro solo tre persone attorno a lei... troppo poche, per lunghi anni di servizio e dolore!
Ne approfitto per ascoltare la storia di questa donna: sposata a 12 anni con un uomo adulto scelto per lei dai genitori. Macchina per sesso e figli, ha subito contratto dal marito la sifilide.
Concepiva e partoriva un bambino dopo l'altro, ma a causa della malattia nascevano deformi, con gravi problemi, e morivano ad uno ad uno nei primi giorni.
Quindici volte cosí, fino a trovare un medico che ha avuto un po' piú cura di lei e a dare alla luce gli ultimi cinque, sopravvissuti.
Maria Bernardina amava recitare il rosario: credo che sgranava le Ave Maria come le gocce di vita e dolore dei suoi venti parti.

Nello stesso giorno, di sera tardi, un'altra telefonata. É morta Maria Luisa, nipotina di Tagylla; é importante che un prete venga a 'battezzarla' (per i piú poveri davvero la fede é l'unico appiglio, per quanto semplice, popolare, forse ingenua...)
Raggiungere la casa di Maria Luisa é difficile, al buio, in una strada stretta e scoscesa, alla periferia della cittá. Alcune assi per terra tappano i buchi del cortile, un sofá arrangiato alla bell'e meglio fuori di casa, in penombra, per accogliere le visite che non ci stanno dentro di casa.
Alla porta l'abbraccio di molti, ma che tristezza quando all'improvviso, scostandosi, mi lasciano guardare dentro e appare nel mezzo della stanza silenziosa la piccola bara rosa...
Nove mesi nel pancione della mamma, il tempo lungo di una attesa in cui crescono sogni, progetti e aspettative. Poi il trauma di ore di ospedale: le spinte non sono sufficienti, la piccola sembra non voler uscire, i medici non vogliono fare il cesareo.
Ogni operazione costa tempo e fatica, da anni é la stessa storia, molte mamme col pancione preferiscono partorire nell'altro ospedale, a 70 Km di distanza: troppo spesso il nostro reparto maternitá invece di essere culla della vita é una fabbrica di morte.
“Tanto i poveri non alzano la voce” -sembrano pensare i medici di qui- “e poi al massimo ne fanno un'altro, di figlio...”

Si chiamavano Maria.

Maria, Maria
É um dom, uma certa magia
Uma força que nos alerta
Uma mulher que merece viver e amar
Como outra qualquer do planeta

Maria, Maria
É o som, é a cor, é o suor
É a dose mais forte e lenta
De uma gente que ri quando deve chorar
E não vive, apenas aguenta

Mas é preciso ter força
É preciso ter raça
É preciso ter gana sempre
Quem traz no corpo a marca
Maria, Maria
Mistura a dor e a alegria

Mas é preciso ter manha
É preciso ter graça
É preciso ter sonhos sempre
Quem traz na pele essa marca
Possui a estranha mania
De ter fé na vida.
(Milton Nascimento)

lunedì 21 settembre 2009

Con grande tristezza e molta rabbia per il potere e la violenza della droga, voglio fare memoria dell'amico don Ruggero.
Ricordiamo tutti la sua grande umanitá, la semplicitá con cui ti avvicinava, ma allo stesso tempo la dedizione e l'impegno al Centro Missionario Diocesano...
Chiediamo a don Ruggero di accompagnarci tutti nel cammino di ogni giorno, perché ciascuno di noi, a suo modo e nel suo contesto, ce la metta tutta per fermare la morsa del male che stringe nella sua presa soprattutto i piú poveri.


Brasile, missionario fatto inginocchiare
e ucciso con due colpi di pistola

Don Ruggero Ruvoletto era originario di Vigonovo. Era stato direttore del centro missionario della Diocesi di Padova. Tre sospetti arrestati per omicidio

PADOVA - Lo hanno fatto inginocchiare e gli hanno sparato due colpi, uno al volto e l’altro in testa. È morto così - secondo la ricostruzione della polizia - il missionario padovano Ruggero Ruvoletto, assassinato attorno alle 7 ora locale (le 11 in Italia), nella sua parrocchia di Santa Etelvina, alla periferia di Manaus, nel nord est del Brasile, da due sconosciuti. I due sono stati visti fuggire con oggetti appartenenti al religioso e darsi alla macchia dopo aver scavalcato il muro di cinta della parrocchia. In serata tre persone sono state arrestate per omicidio dalla polizia brasiliana. Ruvoletto, che faceva parte della diocesi di Padova, era pero originario del Veneziano. Era nato infatti a Galta di Vigonovo, in provincia di Venezia, il 23 maggio del 1957 ed era stato ordinato sacerdote il 6 giugno del 1982. Prima di raggiungere, due anni fa, l’Amazzonia, è stato per molti anni nel poverissimo quartiere di Rio de Janeiro, la Baixada Fluminense. Lo ha raccontato lui stesso nel corso di una intervista rilasciata al settimanale Revista Comunhao, prima di trasferirsi in Amazzonia..
Centinaia di abitanti del sobborgo di Santa Evelina sono andati nella parrocchia per vedere il corpo del missionario italiano, che si era trasferito due anni fa dall'Italia a Manaus. La polizia è dovuta intervenire per contenere la folla che si era riunita sul luogo dell' omicidio. «Era un buon sacerdote. Era molto ben voluto dalla comunità. C'è grande commozione in tutta la città», ha detto padre Danival de Oliveira, dell'arcidiocesi di Manaus, citato dal sito di , il maggior quotidiano brasiliano.Folha de S. Paulo
Sconcerto e dolore sono i sentimenti con i quali la Diocesi di Padova ha appreso la notizia della tragica fine di don Ruvoletto, che in passato ha ricoperto la carica di direttore del Centro missionario della Diocesi di Padova. «Abbiamo fatto il seminario assieme - ricorda don Cesare Contarini - era lui che dirigeva i nostri cori. Una persona delicata, che non ha mai approfittato delle sue posizioni, nemmeno quando il vescovo Filippo Franceschi ne aveva fatto il suo segretario personale. Era un testimone vero del Vangelo che ha sempre preferito sporcarsi le mani che stare lontano dalle persone». «Era una personalità della diocesi padovana di grande spessore - ha detto il sindaco di Padova Flavio Zanonato - ricordo la sua straordinaria umanità, la sua allegria e la sua simpatia. Prima di lui, un altro missionario padovano, padre Ezechiele Ramin, è stato ucciso in Brasile».


19 settembre 2009

mercoledì 2 settembre 2009

Per te, dal nonno Edvar

Edvar vive in un piccolo sobborgo alla periferia di Açailândia, nell'interno piú profondo del Maranhão. Purtroppo, fino ad oggi non é padrone della sua storia, perché abita lá dove nessuno desidererebbe stare.
Quando arrivó a Piquiá, subito apprezzó il nome di quel posto: omaggio ad uno degli alberi piú alti della regione, dai frutti succulenti.
Dopo pochi anni, peró, fece irruzione lo “sviluppo”, che riuscí addirittura a cambiare il nome del sobborgo trasformandolo in “Pequiá”, acronimo per “PEtroQUímico Açailândia”.
Questa stessa cittá, “Terra dell'Açaí” (altro frutto amazzonico ormai scomparso in zona), ha perso la sua identitá: progresso e rispetto per la vita qui non riescono ad abitare insieme.

Giusto dietro la casa di Edvar si sono installati quattordici forni siderurgici, uma fabbrica termoelettrica e, recentemente, uma acciaieria. Le persone che abitano in questa regione sono poco piú che ingranaggi di questa macchina industriale.

Noi missionari e compagni di cammino di questa gente che soffre cerchiamo di rafforzare la lotta per i diritti socio-ambientali e, insieme a loro, coltiviamo la speranza e l'utopia. Per questo abbiamo prestato la penna al signor Edvar, che ha scritto una lettera per il suo nipotino appena nato:

“Caro Moisés, scusami.
Quando saprai leggere e riuscirai a comprendere la mia lettera, non so se ci saró ancora (anche perché dicono che tutto questo inquinamento, oltre a spezzare il cuore, spappola i polmoni!).
Ma fin d'ora ti chiedo scusa al consegnarti uma casa e un sobborgo cosí sporco e cadente.
Ho tentato in vari modi di impedire tutta questa violenza, sai?
Perfino i padri della nostra parrocchia hanno sorriso al sapere che un giorno, disperato, ho scritto al Presidente Lula! Ho fatto solo le elementari, non avevo la piú pallida idea di chi potesse aiutarmi.
Ma il presidente mi ha risposto, sai?! Mi ha detto di “contattare gli organi interessati”.
Grazie a Dio i padri e il centro di difesa mi hanno affiancato e orientato. Sento che sono miei amici.
Questa é uma cosa che ci tengo a dirti: scegli fin d'ora amici di fiducia! Un amico non é chi fa le cose al tuo posto, ma chi ti incentiva e insegna a materializzare un sogno.
Proprio cosí: un sogno. Vedi, Moisés, non farti mai sfuggire i tuoi sogni.
Al giorno d´oggi alcuni possono anche volerli comprare, come hanno fatto con i miei amici le imprese che piantano eucalipto: hanno acquistato le loro piccole proprietá per dar spazio alla monocultura e produrre carbone per le siderurgiche; cosí, molti miei compagni hanno venduto a basso prezzo i loro sogni.
Il mio sogno é sempre stato andarmene da qui. É vero, sono arrivato prima delle siderurgiche e avrei diritto di restarmene qui: se ne vadano loro! Ma queste ditte sono troppo potenti e all'inizio non siamo stati capaci di alzare la voce e impedire che si installassero proprio dietro casa.
Loro stesse scelgono i luoghi in cui la popolzione é piú debole, ci convincono com promesse vaghe di lavoro e ricchezza, e cosí conquistano la libertá di tutti.
Quando sono arrivate qui, subito si é alzata una cortina di fumo tra le fabbriche e le nostre case: oltre all'inquinamento, mi ha fatto pensare che fin dall'inizio avessero qualcosa da nascondere e che tutte quelle promesse non si sarebbero realizzate tanto facilmente.
Poco piú tardi, uma valanga di eucalipti ha invaso i nostri cortili e circondato il sobborgo. Era la cosiddetta “cortina verde”, uma tenda vegetale che -secondo loro- ci avrebbe protetti dall'inquinamento.
E cosí, tra il fumo e questi bastoni alti e dritti di eucalipto geneticamente modificato, abbiamo imparato che alle fabbriche piace nascondersi dietro a veli che coprono le loro vergogne.
Per un certo tempo, ci siamo ridotti all'elemosina con questi ricchi impresari:
avendo tanti soldi per installare gli impianti, forse com qualche briciola che avanzasse potrebbero un giorno trasferire le nostre case in una regione meno inquinata.
Un giorno, Moisés, ho preso coraggio e sono andato a parlare direttamente con il padrone. Ho pensato: “Il mio nipotino sará orgoglioso di me!”
Lui mi ha ricevuto, ascoltato... ma alla fine si é quasi preso gioco di me! Ha detto che era facile, ha detto che l'impresa aveva molte scavatrici, era sufficiente chiedere che queste macchine caricassero le case, cosí come sono, e le spostassero in un'altra zona del quartiere!
Ci sono rimasto male, triste e imbarazzato; ho pensato che noi poveri serviamo solo come biglietto da visita quando le fabbriche vogliono mostrare un piccolo gesto di “responsabilitá sociale”: sponsorizzare un torneo locale di calcio, la proiezione di qualche film all'aperto, qualche aula di alfabetizzazione per adulti, senza nessun altro impegno.
La mia rabbia si é unita a quella degli altri e abbiamo deciso di entrare in tribunale. Un gesto coraggioso: finalmente, pensavamo, queste imprese ci ascolteranno. Eravamo 21 famiglie, chiedendo l'indennizzazione per danni alla nostra salute.
Ancora uma volta ci stavamo organizzando da soli: ci siamo messi a lottare. La bellezza di questa lotta é che non ci stanchiamo, e quando arriva uma sconfitta reagiamo com una forza d'animo ancor maggiore, con convinzione! Era troppo chiaro che eravamo vittime, l'ingiustizia era evidente, la Legge non si sarebbe ingannata... saremo risarciti!

A volte anche noi nonni ci illudiamo e sognamo come se fossimo giovani inesperti: alla fin fine, é la speranza che ci tiene in piedi. Ma ho imparato, Moisés, che la speranza é uma bambina che há bisogno delle due sorelle piú grandi: la pazienza e la saggezza.
Infatti, la Legge si ingannó: finora stiamo aspettando uma sua risposta, il processo avanza com grande lentezza, dicono che mancano prove sufficienti, che non ci sono condizioni per uma indennizzazione...
Forse la giustizia é cieca, ma ho l'impresione che fiuta bene e sente il profumo dei soldi. Non so se posso dire questo apertamente, Moisés, forse mi comprometto troppo, ma scrivo solo a te per evitare che tu in futuro ti deluda come é capitato a me.
Quello che ti garantisco, caro nipotino, é che malgrado la delusione tuo nonno non si scoraggerá mai! Se ci penso, non sto lottando per me, ma per tutti voi bambini, che non vi meritate tutto questo.
Mi piacerebbe, per uno dei tuoi prossimi compleanni, darti in regalo una nuova terra, pulita, sana, libera! É per questo che quando tu sei nato ho insistito tanto per chiamarti Moisés: la tua generazione, ne sono sicuro, aprirá insieme a noi nuovi cammini di liberazione e vita nel cuore di un sistema di sviluppo violento.

Sai, ho impressione che per noi qui a Piquiá il cammino di liberazione é giá cominciato da tempo.
Riunire la gente molte e molte volte senza che nessuno si stanchi é il miracolo della resistenza; riuscire a conservare uma posizione comune davanti alle imprese, senza cedere a probabili proposte individuali e seducenti che dividono il gruppo, é il miracolo dell'unione.

In queste settimane, inoltre, é successo qualcosa di nuovo. Il Ministério Público, grazie alla presone popolare, é entrato com piú decisione nel conflitoo e há fatto uma proposta concreta di negoziazione.
Che orgoglio potersi finalmente sedere, da iguali, ad uno stesso tavolo di concertazione: c'erano i presidenti delle industrie e dei sindacati dei padroni, gli avvocati... e questo tuo nonno semplice ma coraggioso!
Come puoi vedere, non sono arrivato fino al presidente Lula, ma sono riuscito a rendere la mia condizione umile e precaria una denuncia forte contro le contraddizioni delle imprese!
Viviamo in baracche, ma sul ponte proprio sopra le nostre teste passano treni della compagnia mineraria Vale carichi di ferro per l'esportazione: 24 milioni di dollari al giorno.
Molti miei amici sono stati dimessi dalle siderurgiche alla fine del 2008, ma abbiamo scoperto che nello stesso anno queste fabbriche hanno esportato piú di 73 milioni di dollari, migliorando di molto i livelli degli anni precedenti.
Cosí é, Moisés: mentre i poveri stentano a sopravvivere, i grandi continuano a crescere. Ma questa volta la contraddizione grida in faccia a molti, e questi imprenditori hanno un sacco di paura di rovinarsi l'immagine! Qui a Piquiá diciamo spesso che anche i nostri giganti hanno i piedi di argilla!
Siamo noi l'argilla di questi potenti: finché restiamo in silenzio e obbedienti, loro rimangono in piedi pesando su di noi. Ma se l'argilla comincia a muoversi, amico mio... allontanatevi tutti!

Moisés, io ho cominciato a muovermi, anche per te. Spero che questa onda non si calmi piú.

Con affetto,
tuo nonno Edvar

lunedì 10 agosto 2009

Una donna cosí non puó morire!

Assunzione di Maria

Durante il Fórum Social Mundial, ho ricevuto una maglietta con il volto di irmã Dorothy, martire della foresta in Brasile. Molte volte la uso, con orgoglio, nella quotidianitá delle relazioni con la nostra gente.
Mi rendo conto che anche le persone meno conosciute, con commenti inaspettati, riconoscono il volto di Dorothy e quasi la salutano con parole di rispetto e dignitá. Questa donna non é morta, é evidente. Come puó morire un segno di speranza, una compagna di cammino? La gente non permette che succeda!

Maria é modello di tutte queste donne-testimoni. In Maria, Dio ci garantisce che la vita ha senso anche attraverso la morte... e che davvero chi vive per Dio non morirá mai. L'assunzione é proprio questo: garanzia che non moriremo!

Perché Maria, Dorothy, Margarida e molte martiri non sono morte? É una domanda molto importante, visto che anche noi dobbiamo imitarle. Non sono morte perché erano persone gravide. É questo il messaggio del Vangelo: chi é gravido di vita non morirá mai.

Le letture di questa domenica nel cuore di agosto ce lo confermano: "Apparve una donna vestita di sole, era gravida e gridava nei dolori del parto" (Ap 11).
"Elisabetta esclamó con um forte grido: il bambino ha saltato di gioia nel mio grembo" (Lc 1)
C'é profumo di gravidanza in questi brevi brani, vibrazione di vita in continuo concepimento.

Anche tra di noi possiamo distinguere persone sterili, che vivono solo per sé, e persone gravide, che si sforzano ogni giorno di concepire nuove forme di vita nella rete delle loro relazioni.
Siamo gravidi quando diamo spazio alla creativitá, all'intuizione, alla ricerca di alternative perché la gente possa crescere e vivere degnamente.
Siamo gravidi quando viviamo inquieti, preoccupati perché vinca la vita, fissati nel'opzione fondamentale della difesa dei piú piccoli. I gravidi non moriranno, Dio ogni giorno li 'assume' nella sua stessa opzione per la vita.

E Maria, con il suo canto, va ancora piú in lá: "D'ora innanzi tutte le generazioni", intona. D'ora in poi, lei sente di non poter piú vivere da sola: dentro di lei vivono generazioni di persone; Maria si sente madre di tutti gli essere viventi, e il grido del suo parto é il canto degli umiliati, degli affamati, degli umili.

Maria é donna-popolo que assume, in comunione con tutti i sognatori di vita, il grido di molte resurrezioni quotidiane, fatte di resistenza, di speranza, di piccole nascite e di cuori gravidi.

Cosí anche noi, fin d'ora, possiamo fare esperienza di 'assunzione': Dio che ci assume a sé, ci conferma, garantisce che la vita va ben oltre la nostra piccola esistenza.
Anche noi possiamo imparare, con Maria, a ospitare generazioni dentro di noi.
Ci sono persone che vivono da sole con se stesse; queste muoiono presto. Altre accolgono dentro di sé molta gente: sentono in ogni momento la preoccupazione e la dedizione per la vita di altri. Al conoscere una situazione o un gruppo, si fanno carico dei suoi desideri e sforzi, convivono con la storia degli altri, dentro di loro esiste un essere ricco e plurale. Queste persone sopravvivono alla loro stessa morte.
Fin d'ora, con Maria, ci mostrano che la vita é piú grande del nostro io.

mercoledì 15 luglio 2009

Amicizia

Una lettura di Mc 6, 30-34
C'é una chiave che apre i testi della Parola di Dio. A volte leggiamo e rileggiamo, senza che il Vangelo ci dica molto... e all'improvviso troviamo uma chiave che svela un significato nuovo e ricco.
Il bello é che la stessa chiave apre anche il nostro cuore, rivela necessitá, sentimenti, sogni o intuizioni forse incoscienti e nascosti, che la Parola di Dio stimola e risveglia.
In questi casi, sentiamo che la Bibbia é molto vicina alla vita, filo che attraversa e unisce le nostre azioni e scelte.

La mia parola chiave, nel testo del Vangelo di questa domenica, é “Amicizia”.
Il testo immediatamente precedente narrava la perdita di un grande riferimento per Gesú: Giovanni Battista condannato e ucciso brutalmente. É il momento in cui Gesú si rende conto che é giunta la sua ora, indurisce il cuore e si decide ad affrontare fino alla fine la complicitá tra l'ipocrisia e la violenza del potere religioso/politico.
Ma dentro di sé Gesú deve sentir freddo e un grande bisogno di amici, compagni, appoggio.

É proprio in questo momento che i discepoli tornano dalla missione, riscattando la bellezza dell'essere stati inviati due a due, l'orgoglio della missione compiuta, il desiderio di condividere le buone notizie com l'amico e maestro che li ha inviati. E Gesú li invita a ritirarsi per un po', da soli, in un luogo deserto, per rafforzare nei lacci di amicizia tutto ció che la vita insegna a poco a poco e rinnovare l'alleanza contro l'ingiustizia.

Quanto ci mancano, a volte, momenti come questo, di veritá e umanitá profonda, in cui rinnovare l'impegno, riscoprire le motivazioni piú intime delle nostre scelte e scoprire che sono le stesse che animano i nostri amici!
Questi legami sono piú forti di qualsiasi delusione, di tutta la violenza che la realtá puó sputarci in faccia. Piú resistenti della distanza che ci separa o del tempo che appanna i punti di riferimento della nostra vita.
Se riusciamo a mantenere vivo questo legame profondo com i nostri amici, creare e ricreare occasioni e spazi perché si coltivi e sviluppi, potremo 'salvarci' (che é il contrario di 'perderci', disorientati nella furia insensata delle urgenze o nel grigiore della routine quotidiana).

Si tratta di uma necessitá collettiva, secondo il seguito del nostro testo evangelico: “molti li videro partire e corsero a cercarli”.
In questo brano, Marco non fa riferimento ad ammalati che cercano cura, o indemoniati che hanno bisogno di liberazione: dice solo che la gente sta cercando una direzione, pecore senza pastore assetate di parole di vita, isole in cerca di relazione e compassione (che é la capacitá di 'sentire insieme' ció che é piú profondo).
Sull'erba verde di quel luogo, Gesú chiederá a tutti di sedersi e formare gruppi per la condiviosne; tutto il pomeriggio, insegnando, dirá che la sua religione non é piú di servi, gerarchie, obbedienza e timore, ma di amicizia, utopia, alleanza di sangue e passione.

mercoledì 17 giugno 2009

Andiamo all'altra riva!

Gesú invita i discepoli a sfidare la cultura del tempo, trasformare la situazione posta, varcare i confini e giungere all'altro lato del mare della Galilea, nella Decapoli, terra straniera.
Per un ebreo mischiarsi com gli stranieri, pagani dell'altra riva, significava contaminarsi e tradire la sua identitá.
Anche oggi molti confini e barriere limitano la nostra visione e paralizzano i nostri gesti di amore: celebriamo il 20 giugno la Giornata Mondiale del Rifugiato, ma ancor oggi molti Paesi detti 'sviluppati' innalzano muri per proteggersi dagli stranieri, dicendogli “Tornatevene alla vostra riva!”
Allo stesso modo, molte altre 'migrazioni' si rendono urgenti per noi e i nostri stili di vita: da anni gridiamo che un altro mondo é possibilie, ma quanti di noi sono giá entrati in barca per navigare realmente fino all'altra riva, ad un altro modello di vita e sviluppo, fatto di economia solidale, impatto ambientale leggero, valorizzazione della produzione locale, della cultura dei popoli, della partecipazione nella gestione del bene comune?
C´é un'altra riva economica, culturale, politica che ci aspetta, ma la pigrizia, la paura o l'interesse ci trattengono molto al di qua di quello che Dio indica com passione.
Molte volte la stessa chiesa sembra piú un circolo di amici in spiaggia e rinuncia ad affrontare coraggiosamente la traversata, insistendo nella trasformazione...

É vero che andare all'altra riva costa, é pericoloso e violento. I discepoli lo sanno bene, la loro paura é comprensibile; anche oggi il vento e la tempesta si scagliano contro chi é in cerca di nuove terre. In queste ultime settimane, per esempio, altri due testimoni di lotta per la terra nello Stato del Pará sono caduti, uccisi dai guardiani del sistema, che impedisce qualsiasi superazione dei suoi confini.
Celebriamo la fede di Raimundo Nonato, dirigente sindacale, e di Luís, coordinatore della Liga dos Camponeses Pobres: tentarono di obbedire a Gesú e lottarono per avere accesso all'altra riva della storia, dove tutti abbiano vita.

Molte volte ci sentiamo impotenti di fronte alle forze di morte, alla macchina della propaganda ufficiale che nasconde la veritá e onora gli ingiusti, a questa corruzione sfacciata...
“Maestro, non ti importa che moriamo?!”
In alcuni casi, sembra che lo stesso Dio resti distante e non ci apra il cammino.
Ma non c'é da aver paura: chi ha il coraggio di salire su questa barca, fará l'esperienza di un Dio a cui il vento e il mare obbediscono, e pur nella tormenta della traversata sentirá nel suo profondo uma grande bonaccia, la pace di chi sa di trovarsi nel cammino giusto.

Foto: http://www.flickr.com/photos/31598370@N08/2990595305/

mercoledì 27 maggio 2009

Personaggi in cerca di autore

Riflessioni sparse sulla nostra identitá

“Chi siete? Dove andate? Un fiorino!”
Tutti ricordiamo la scena spassosa di Troisi e Benigni nel film “Non ci resta che piangere”.

Ebbene, oggi sono queste le due domande che regolano le relazioni tra i popoli: Chi siete? Dove andate? E chi non puó dimostrare di essere 'dei nostri' o tranquillizarci perchè solo di passaggio... non gli resta che piangere!

Anche Dio, quando scelse di abitare in mezzo a noi, dovette subito capire che oltre a “farsi carne” occorreva anche “farsi carta”: sans papier non si va da nessuna parte, e cosí in quel tempo Dio fu iscritto nel censimento di Augusto. Schedato, controllato, confinato nel destino del popolo in cui nacque.
Avere un'identitá é un rischio, dipendendo dal Paese che te la concede.

Qui da noi, in Brasile, la sete di identitá é evidente; un popolo meticcio, dalle mille radici, invaso e agitato da mille influenze culturali... oggi vuole dire chi é!

Un piccolo simbolo é il bisogno di appartenenza, evidente per l'uso dell'uniforme. Uniforme per andare a scuola, uniforme della chiesa a cui appartengo, del corso che sto facendo, del lavoro, del coro musicale, del santo a cui sono piú devoto... tutti vogliono l'uniforme!

Pensandoci bene, l'identitá te la stampano dentro, a partire dalla tenera etá del pre-scuola quando tutti uguali, alla stessa ora, con la stessa maglietta si entra in aula.
Siccome la scuola non riesce a far trovare un'identitá piú profonda, marchia i nostri piccoli con il trucco a buon mercato del senso di appartenenza. E cosí loro crescono, fin dall'inizio, con il bisogno di appartenere a qualcuno o qualcosa... e la paura di “chi non é dei nostri”.
É una scuola che sembra proclamare ancora i valori del ventennio di influenza militare: attraverso l' uni-forme (stessi colori e simboli imposti sul corpo dei bambini) manifesta l'obiettivo piú o meno conscio di controllo mentale su di loro.
Infine, l'uniforme serve, qui da noi in Brasile, per nascondere le disuguaglianze marcanti tra chi puó permettersi di cambiare vestito uma volta al giorno e chi non ha nemmeno una maglietta decente per entrare in aula. Una democrazia formale che scompare appena i bambini tornano a casa, rivestendo ciascuno le condizioni della realtá a cui appartiene.

Insomma, com'é difficile dire di avere un'identitá propria... che ci fa diversi gli uni dagli altri e ricchi di queste differenze! Com'é raro poterla affermare liberamente, difenderla e cercarla in modo autonomo!

In questo senso, ringrazio Dio che come missionario vivo ancora com un permesso di soggiorno temporaneo: figlio di piú popoli, libero di abitare con ciascuno di essi e di costruire a poco a poco la persona che immagino viva dentro di me.

mercoledì 20 maggio 2009

Crisi, disoccupazione e Parola di Dio


«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Mt 20, 1-16)

Perché siete disoccupati?”

Dio stesso si fa questa domanda, preoccupato per la situazione di tante famiglie che vivono alla mercé di un sistema economico basato sulla ricerca insaziabile del guadagno. Anche la chiesa, oggi, deve ripetere la stessa domanda, in un momento difficile di crisi mondiale e locale.
Perché c'é disoccupazione? Chi l'ha creata? Da dove viene la crisi? Quali sono le responsabilitá locali?

Sono molto importanti, in ogni cittá e regione del nordest del Brasile, momenti collettivi di dibattito sulla crisi, incontri pubblici e dialogo costruttivo, alla ricerca di vie d'uscita.
La nostra chiesa auspica che ogni segmento coinvolto in questo sforzo abbia il coraggio e la trasparenza di riconoscere gli errori e le responsabilitá: non possiamo accettare, semplicemente, che in questo momento di difficoltá il peso e le conseguenze ricadano solo sulle spalle dei lavoratori.

Il padrone uscí e uscí di nuovo...”

Dio, nella parabola del Vangelo, non si limita alle domande, non analizza il fenomeno dietro il tavolo del suo ufficio o solo attraverso gli articoli di un giornale: esce all'incontro dei lavoratori piú e piú volte, dialoga con loro, cerca soluzioni e piste di azione.
La preoccupazione di Dio é che, alla fine della giornata, ciascuno abbia la sua moneta d'argento da portare a casa, per alimentare la sua famiglia e garantire la dignitá quotidiana.
É anche la preoccupazione delle nostre parrocchie e dei movimenti sociali: dare opportunitá a tutti di guadagnare il pane di ogni giorno. Questo é il compito piú importante della Politica: offrire condizioni e opportunitá di vita per tutti/e!

Che ciascuno abbia diritto ad una educazione di qualitá, alla formazione professionale, all'accesso diversificato al lavoro. Che i piccoli produttori trovino uno sbocco sul mercato e siano in condizione di trasportare i prodotti dalla campagna alla cittá; che siano previsti finanziamenti accessibili per la piccola imprenditoria.
La crescita economica disordinata e non pianificata delle nostre regioni pre-amazzoniche si deve a politiche irresponsabili di finanziamento per grandi imprese e proprietari, per non parlare della “politica del saccheggio” che lungo gli anni ha succhiato le risorse locali creando poche opportunitá e favorendo una minoranza che accumula (cf. il ciclo dello sfruttamento del legno pregiato, delle segherie che hanno distrutto la foresta locale, dell'allevamento, dell'estrazione minerale e della produzione siderurgica).

Il capitale difende sempre i suoi interessi: é la Politica che deve difendere gli interessi dei lavoratori e il dialogo tra le parti. Purtroppo i professionisti della politica, invece di uscire nelle piazze in ascolto di chi cerca lavoro e pane, restano nei loro uffici in complicità con i grandi imprenditori che finanziano le loro campagne.
La missione della chiesa é difendere la dignitá della persona tutta intera e di tutte le persone, specialmente i piú minacciati ed esclusi: difendiamo in modo intransigente i diritti dei piú dimenticati e lavoriamo perché essi divengano attori responsabili del loro stesso benessere.

Con Dio, oggi nuovamente ripetiamo con decisione le parole del Vangelo.
Voglio dare a questo, che é ultimo, lo stesso che ho dato a te”: uno sforzo di promuovere giustizie e pari opportunitá a tutti/e. Occorre, quindi, un'inversione sociale delle nostre opzioni: “Gli ultimi siano i primi, e i primi gli ultimi”, in modo che chi piú ha bisogno riceva di piú, e chi ha meno bisogno riceva di meno.

La chiesa desidera partecipare attivamente al dialogo permanente tra la societá civile organizzata, i poteri pubblici e gli impresari, alla ricerca di cammini che attutiscano la crisi e costruiscano progressivamente una societá in cui non ci siano primi e ultimi, ma semplicemente, umanamente, fratelli e sorelle.

sabato 4 aprile 2009

Puó un profumo smuovere le pietre?

Pasqua 2009 ad Açailândia, Brasile

“Era una pietra molto grande”. Le donne volevano tornare a vedere Gesú, per lo meno il suo corpo, e ricordare di lui, di tutto quello che si era sognato insieme.

Era una pietra molto grande, e loro avevano solo... un po' di profumo. Il profumo non smuove le pietre.
“Chi toglierá per noi la pietra dal sepolcro?”: erano rimaste la notte intera con questa domanda in testa. Anche oggi la stessa domanda martellante si impone dentro di noi e nelle nostre comunitá, durante molte notti.

Le pietre da rotolare per noi sono numerose:
- la corruzione di chi ha comprato il potere e ora vende i suoi favori;
- la sensazione di essere la discarica industriale delle grandi imprese dalla faccia pulita (nel nord del mondo) e dai piedi sozzi che calpestano i poveri;
- l'alcol e la violenza sessuale (anche contro bambini e adolescenti), specchio di un vuoto di valori e prospettive: invece di svuotare i sepolcri, si stanno svuotando i nostri sogni.
Chi toglierá per noi queste pietre? Graças a Deus, tre donne non si sono fermate alla domanda e hanno accettato la sfida: andarci lo stesso a quella pietra, 'armate' solo dei loro profumi.

Quali sono i nostri profumi? Vorrei che sentiste il profumo dei 60 gruppi di preghiera nelle case, che per cinque settimane si sono riuniti per leggere e capire insieme la Bibbia e la realtá.
Il profumo di celebrazioni in cui la nostra gente tocca con mano la resurrezione, cantando la vita, raccontando le loro storie, stringendosi le mani. É poco, lo so, ma il profumo si usa in piccole dosi.
La fragranza di alcuni giovani che si stanno appassionando per la stessa causa che difendiamo noi, e li sentiamo un po' figli, un po' fratelli minori...

Per la loro fede e ostinazione, le donne sono state ascoltate e la pietra era rotolata via, in quella mattina di un giorno nuovo, primo giorno di una nuova storia.
C'era peró da varcare quella soglia: non é sufficiente smuovere le pietre, se non abbiamo anche noi il coraggio di entrare nel sepolcro, assumere il conflitto, guardare in faccia le forze di morte che minacciano la nostra gente... e anche stare dentro alle contraddizioni pur non vedendo soluzioni o cambiamenti immediati. A volte, per una pietra che si smuove, sembra che se ne ammucchino altre dieci: ci vuole il coraggio di entrare e stare nel sepolcro, prima di riuscire a vedere la resurrezione.

Cosí viviamo oggi, nella pre-Amazzonia ricca di violenza e di potenzialitá: un piede nel sepolcro, l'altro giá in corsa per dire a tutti della vita che non muore.
Buona Pasqua!

mercoledì 25 febbraio 2009

Açailândia-Piquiá: perché tutto abbia vita


Quale missione alla frontiera ambientale?

Stiamo attraversando un tempo di crisi che dall'economia risale fino ad intaccare il nostro modello di vita, di produzione e scambio, di convivenza tra le culture e di visione del mondo, dell'umanità e di Dio. Nel mezzo di questa confusione feconda e provocante, anche i missionari comboniani si stanno facendo molte domande sul loro futuro e sulle priorità della missione.

Dal piccolo della nostra comunità, inserita nel cuore di gravi conflitti socio-ambientali, raccontiamo un'esperienza che insiste su nuove frontiere missionarie.
Come tutti i missionari, veniamo da lontano, sia nello spazio che nel tempo: il nostro gruppo raccoglie e continua l'esperienza di vent'anni di cammino di altri fratelli che hanno speso la loro vita alle porte di questa Amazzonia del Maranhão.

1. Leggere i segni dei tempi e scegliere il posto giusto come missionari

La comunità comboniana di Açailândia nasce nel 1991 accompagnando i lavoratori migranti di tutto il Maranhão verso uno dei poli siderurgici costruiti in quegli anni lungo la ferrovia di Carajás. Spicca fin da quel momento la vocazione itinerante dei missionari: scegliere il luogo in cui la vita ha più bisogno di essere riaffermata e protetta, e inseguire la gente in cerca di dignità. È su queste strade che Dio ci aspetta.
Dopo una decina d'anni, sorge la necessità di dividere in due la comunità per andare a vivere nel quartiere operaio. Ancora una volta, la realtà parla più forte dei principi o della tradizione: nasce la comunità di Piquiá, che vive sulla pelle le contraddizioni del quartiere-dormitorio e la fatica delle famiglie degli operai e dei disoccupati. Intanto, l'altra metà della comunità rimasta più vicina al centro cittadino aveva già fondato insieme ad alcuni laici il centro di Difesa della Vita e dei Diritti Umani, oggi alleato competente e prezioso nella formazione politica popolare e nel controllo delle politiche pubbliche locali. Attualmente le due comunità continuano con attività decentrate ma con una forte ricerca del consenso e della fraternità.

Dopo 16 anni, però, una rilettura del contesto ci stimola a riorientare la nostra missione, ridefinendo il contesto territoriale lungo tutto il corridoio di Carajás. È la sfera di influenza della più grande multinazionale dell’estrazione del ferro (Vale), contesto minimo in cui poter comprendere e assumere una strategia di trasformazione della realtà. Questa volta si rompe la rigidità dei confini e dei territori di appartenenza, di riferimento (preoccupazione tipicamente parrocchiale).
La comunità sente la sfida di una parziale itineranza, per risvegliare e formare líderes di “comunità di giustizia ambientale”: comunità dove si proponga un modello di sviluppo rispettoso dei ritmi e delle risorse della terra e della gente (celebrazione della vita e del lavoro di ogni giorno, agricoltura familiare, piccola produzione, gestione forestale, controllo delle attività delle grandi imprese, etc).

Per fortuna, la coordinazione del gruppo comboniano presente nel Brasil Nordeste ha una linea chiara che ribadisce con decisione la priorità di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, liberando così la creatività e la passione di chi, inserito nel cuore delle contraddizioni, si sente costantemente provocato e desidera aprire cammini nuovi.

2. Il senso del nostro stare qui
Ci troviamo al ‘Portal da Amazônia’: sulla porta d’ingresso dell’Amazzonia, porta che in molti desiderano chiudere lasciando alle spalle identità territoriale, appartenenza culturale e biologica al ricchissimo sistema forestale, fatto di gente, di terra e di acqua, di vita pulsante.

Siamo sulla frontiera: qui la chiamano ‘arco do desmatamento’, la grande mezzaluna della devastazione che si addentra ogni anno più a nord, cancellando un semicerchio alla volta quello che la vita ha intessuto per millenni.

Dietro di noi una identità territoriale che sta scomparendo, davanti a noi la paura che tutto si replichi anno dopo anno senza controllo. Stare qui, nel bel mezzo tra il passato e il futuro, è per scavare trincee di resistenza, arginare la sete di sviluppo a costo della vita degli altri, cicatrizzare le ferite da cui il sangue e le risorse vengono quotidianamente succhiate.

Un angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente gridò a gran voce: «Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio» (Ap 7)

Vidi un nuovo cielo e una nuova terra. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21)

3. Che tipo di missionario?
Per vivere e lavorare in questa linea, prima di tutto non basta un individuo, occorre una comunità missionaria: una presenza di questo tipo richiede continuità negli anni, affinità con le scelte e la linea della gente, pluralità di intervento nelle diverse sfere della vita del popolo: tutto questo non può essere assunto da una sola persona, riesce a stare in piedi solo se è una scelta e una prassi comunitaria continuamente rinnovata e calibrata.

In questo momento abbiamo il dono di una comunità del genere e stiamo cercando di investire tutte le nostre forze per renderla sempre più consapevole del suo ruolo: ci spetta una analisi seria e costantemente aggiornata degli interessi e dei conflitti che regolano la vita della regione (interessi economici, progetti di investimento, alleanze e prospettive politiche, conflitti regionali o etnici, eredità storica, religiosa e culturale, etc).

Il nostro sforzo maggiore vuole essere costruire altre comunità cristiane, fondate sulla stessa lettura della Parola e della storia. Per questo insistiamo molto sulla formazione di base e di líderes e sulla comunicazione alternativa.

4. Come stiamo agendo?

Vogliamo investire nella educazione popolare, decentrata, individuando persone di riferimento nelle varie comunità lungo il corridoio di Carajás. Questo comporta itineranza e strumenti efficaci di comunicazione. Stiamo strutturando un nucleo di comunicazione preparando giovani competenti in radiofonia, giornalismo, redazione di siti web.
Abbiamo definito priorità ecclesiali chiare (partecipazione politica, ministerialità, comunicazione e difesa ambientale). Grazie a questo, le comunità sono stimolate ad assumere le loro scelte e a sviluppare l'interpretazione biblica progressivamente alla luce di queste priorità.
Stiamo costruendo una rete di contatti regionali per rafforzare le persone e i piccoli gruppi che lottano per gli stessi obiettivi, in contesti simili ma frammentati e divisi dagli interessi privati.
Ad un livello più ampio, si tesse anche una rete internazionale per aiutare la gente a comprendere quanto la loro situazione è frutto di un modello perverso di sviluppo, diffuso a livello mondiale.
Da fine 2007 (e con un forte rilancio al Forum Sociale Mondiale di Belém) la campagna “Justiça nos Trilhos” (Sui binari della giustizia) articola questa rete di contatti e si pone obiettivi molto concreti nel controllo socio-ambientale della più grande multinazionale del ferro al mondo (Vale do Rio Doce). La campagna, iniziata dai comboniani, ora raccoglie l'adesione diretta di alcune diocesi locali, università, movimenti e reti di giustizia ambientale, sindacati, avvocati e associazioni di magistrati, giornalisti e associazioni di difesa dei diritti umani. La libertà e l'autorità morale che abbiamo, come missionari, ci permettono e impongono di assumere in prima persona la battaglia: una volta schierati con serietà e questa rete di collaboratori competenti, firmiamo l'impegno a partecipare alla causa per molti anni a venire...
E così la comunità comboniana si trova a vivere con un piede ben saldo sul suolo della nostra gente di Açailândia, rafforzando le comunità cristiane di base e il legame affettivo con le famiglie; l'altro piede, però, si sposta continuamente in cerca di alleanze, per rafforzare il peso politico delle nostre rivendicazioni, denunciare le situazioni poco umane del nostro territorio e divulgare 'aternativa possibile.

5. Qual è la base teologico-pastorale che ci sostiene?

  • Spiritualità ecologica

All'origine di molte nostre vocazioni forse c'è quel versetto-chiave del libro dell'Esodo (3,7): “Ho udito il grido del mio popolo. Per questo sono sceso, per liberarlo”. Le nostre scelte missionarie sono orientate da questo grido, un desiderio di inserzione e liberazione.

Ma oggi, forte tanto quanto il grido del popolo, ci angustia il silenzio assordante della vita che non c'è più. Contesti ambientali completamente distrutti, equilibri di vita saltati, deserti di monoculture al posto di ecosistemi ben integrati con il lavoro dei piccoli produttori, progetti minerari che succhiano le viscere della terra e dei popoli che vi abitano...

L'anello più debole della catena è il primo ad essere schiacciato; quando la vittima non ha voce, tutto sembra meno grave e violento. L'ambiente soffre questa discriminazione senza poter alzare la voce (oppure tutta in una volta, nei disastri naturali).
Per questo, occorre completare il passaggio dell'Esodo: “Ho udito un silenzio preoccupante, innaturale. Per questo sono sceso, per restituire voce e vita a questa terra ferita”.

La natura geme e soffre in attesa di questo nuovo parto. Chi ha uno spirito missionario soffre con lei. E lo stesso Spirito di Dio, che continua a soffiare sulla grande confusione e violenza di oggi, soffre con noi nel desiderio intenso di nuovi cieli e nuova terra.

  • Religione: una ‘visione nuova’

La maggioranza dei miti della creazione nacquero in epoche di conflitto sociale, come tentativi di giustificare gli squilibri della storia. Vivendo in tempo di conflitto, l'umanità giudicava che esso fosse il riflesso di dinamiche violente nel cielo (conflitto tra divinità). La cosmogonia di molte culture nacque proprio da questa interpretazione distorta iniziale. Il mondo è violento perché gli dei sono violenti, o, quanto meno, sanno “farsi rispettare”!

Le relazioni tra tutte le creature continuarono ad essere regolate da questo modello. Cos’è che ha valore e si afferma? La persona e il sistema che riescano ad imporre un ordine violento, mettendo fine in questo modo ad ogni conflitto.
Si tratta della teologia e sociologia della forza, di relazioni dualiste e androcentriche, della competizione e della lotta per la sopravvivenza. La stessa natura, nelle sue regole più elementari di selezione naturale, conferma questo schema.

Anche diversi passaggi della storia della religione cristiana rafforzano questa lettura: si afferma un ‘Dio’ forte, controllore, Padre-Patriarca, ordinatore del cosmo, dal quale non si può fuggire (e che punisce e corregge con fermezza chi disobbedisce all’ordine stabilito).

Al servizio di questo ‘Dio’ esiste una casta privilegiata di funzionari scelti (sacerdoti, spesso appartenenti alla stessa etnia o allo stesso gruppo). Un sistema ben articolato organizza tutta la società secondo questa gerarchia divina immutabile: chi è nato per essere servo rimarrà servo, obbediente ad ogni regola indicata da ‘Dio’.
Consideriamo che il termine ‘gerarchia’ deriva dalla parola greca hieròs, che significa ‘santo’. Il sistema di potere e le relazioni di autorità e obbedienza si impongono automaticamente come derivate da ‘Dio’ e con la sua benedizione.

Questa struttura politico-economica, con una forte influenza religioso-culturale, ha avuto fin dall’inizio un impatto violento anche in ambito ecologico: il sistema di sacrifici permanenti prevedeva un saccheggio consistente delle risorse del popolo e della natura (Ne 10).
Il consumo annuale di legna era enorme, per consentire ogni giorno l’olocausto (termine che letteralmente significa 'bruciare tutto'). Il sistema di sacrificio era basato sul concetto di sangue e fuoco come elementi di espiazione e di purificazione: per ottenere perdono dal 'Dio' che mette ordine nella società occorreva lo spargimento di sangue delle vittime sacrificali, bruciando in seguito i loro corpi.

Non è questa la religione gradita al Signore!
Nel libro della Genesi, in modo affascinante, Dio parla al plurale: "Facciamo l'essere umano".
E questo Dio plurale creò (crearono) l'uomo e la donna, per completarsi, perché nessuno da solo basta a se stesso. Fin dalla creazione è stato innestato in noi il principio di responsabilità reciproca. 

Pertanto, è tempo di un'alleanza delle comunitá e delle religioni, per prenderci cura della casa di tutti. É tempo di guardare al mondo come un’unica "Comunità di vita" chiamata a "sostenere la vita".

La stessa parola “Religione” viene dal latino re-ligare ed in sé è ambigua. Puó imprigionare, se come obiettivo vuole garantire la sicurezza del culto e della dottrina, della gerarchia rigida di persone, valori e norme. Ma apre orizzonti smisurati e nuovi se viene intesa come la rete invisibile dei legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, una nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore, e la missione si fa interprete nuova di questo suo eterno dialogo con la creazione.

lunedì 2 febbraio 2009

Cinque presidenti al FSM


Maria das Graças, indigena ecuadorena, li ha salutati com parole chiare, mostrando tutte le aspettative che i popoli originari ripongono in loro, dopo anni di sofferenza e esclusione: “non perseguitateteci piú! Rispettateteci, vi chiedo solo questo, nulla in piú”.
Graça, una delle coordinatrici del FSM, ha continuato con la stessa decisione, denunciando il pericolo di cedere definitivamente al modello di sviluppo divoratore della gente e della natura: “assistiamo a un forte disimpegno delle istituzioni rispetto alle risorse naturali e al futuro delle nostre popolazioni. La deforestazione sta distruggendo anche le nostre popolazioni, specialmente i popoli originari”.
Ma lo spazio alla critica non é stato molto (tra le diecimila persone del pubblico un buon gruppo, a quanto sembra, é stato intrufolato per appoggiare Lula e evitare i fischi e le contestazioni del'ultimo FSM di Porto Alegre).
In ogni caso, l'appoggio attuale al presidente brasiliano é molto ampio, e innegabilmente ci troviamo di fronte a uma nuova tappa della storia politica dell'America Latina.

Un tornitore meccanico, un vescovo della liberazione, un índio (“con la faccia di índio”, risalta Lula), un giovane economista e un soldato giá imprigionato per un precedente tentativo di colpo di stato e poi scelto e apoggiato dalla gente: Lula, Fernando Lugo, Evo Morales, Rafael Correa e Hugo Chavez riuniti allo stesso tavolo parlando ai delegati del FSM.

La congiuntura é nuova e puó aprire alla speranza; tutti gli interventi sottolineano che questa tappa della storia latinoamericana é stata costruita da tempo, viene da lontano e si fonda sulla lotta popolare per la democrazia. “Sono frutto della vostra lotta contro il neoliberismo”, dice Morales; “Siamo riflesso di ció per cui il popolo ha lottato. Una America indigena, meticcia, negra: dopo secoli, sta diventando realtá”, aggiunge Correa.

I popoli boliviano e ecuatoriano celebrano in questo passaggio storico le loro nuove costituzioni (quella boliviana é stata approvata dal 60% del Paese proprio domenica scorsa): una Carta dei Diritti dei popoli indigeni nella prospettiva di ricostruire la Pachamama, la Grande Madre latinoamericana.

Tutti i presidenti richiamano all'urgenza e alla possibilitá storica di integrare i popoli dell'America Latina. Correa sottolinea che si tratta di “una necessitá di sopravvivenza” e chiede che si acceleri il processo per la creazione del Banco del Sur. Inoltre critica la Organizaciòn dos Estados Americanos (OEA), ancora molto dipendendente da Washington, e rilancia l'idea di una autogestione latinoamericana, includendo finalmente “nuestra hermana Cuba”.

Non mancano le difficoltá e gli intoppi diplomatici, come il caso della potentissima centrale idroelettrica di Itaipu, i cui proventi attualmente sono strappati dal Brasile al Paraguai: Lugo non evita di citare il problema, dicendosi molto ottimista per uma soluzione, che porterebbe sviluppo e ricchezza al suo popolo paraguaio.
L'ex vescovo cattolico sottolinea che l'America Latina é ricchissima di risorse e potenzialitá, deve solo trovare l'orgoglio e la capacitá tecnica di gestirle in autonomia.
É forte la ribellione contro il neoliberismo e l'imperialismo statunitense, e Lula ripone molte attese anche sul “negro Obama, figlio di uma terra che solo 40 anni fa ha assassinato Martin Luther King”.
Piú di un presidente fa cenno al “socialismo del secolo XXI”: Chavez specifica che non ha piú senso il cliché “capitalismo=efficienza, socialismo=giustizia”. “Siamo capaci di costruire un socialismo giusto e efficiente, com un ruolo equilibrato dello stato, un'attenzione specifica all'ambiente e la scelta di un modello di sviluppo responsabile e sostenibile”, rafforza Correa, che fa molti richiami alla Dottrina Sociale della Chiesa ma grida il suo dolore nel considerare che é proprio il continente piú cattolico ad essere il piú disuguale del mondo. “Il gesto piú comune di Gesú, in molti momenti della sua vita, é stato spezzare il pane. Possibile che noi qui non riusciamo a spezzare e ripartire le nostre risorse per tutti?”

Morales dá le prospettive e la sfida per il futuro: “Dobbiamo assumere uma nuova tappa di integrazione dei nostri paesi, contro l'intrusione e la cospirazione degli Stati Uniti”. Propone quattro campagne, quattro aree di lavoro:

  • una campagna mondiale per la pace e la giustizia (richiama specialmente la Palestina, l'Afganistan e l'Iraq, trascurando anche lui le guerre dimenticate di molti paesi africani). Esige uma riforma radicale dell'ONU.

  • una campagna per un nuovo ordine economico internazionale; esige una riforma radicale di BM e FMI e chiede che l'indicatore di sviluppo non sia piú il PIL, ma l'indice di suddivisione della ricchezza.

  • una campagna per salvare il Pianeta, mutando i modelli di consumo

  • una campagna per la dignitá umana contro il consumismo: valorizzare l'umanitá, seppellire il capitalismo. Un simbolo per questo lavoro di riscatto delle culture popolari e contro il consumo della gente potrebbe essere, per Morales, la foglia di coca: per i popoli indigeni é alimento, fonte di vita; non possiamo lasciare che diventi, come tutto il resto del mondo di consumo, sostanza stupefacente e distruttrice delle persone.


FSM: contraddizioni e risposte


Ogni forum mondiale é uno spazio di contraddizioni: ci trovi di tutto e di piú.
Anche il Forum Mondiale di Teologia e Liberazione há messo in luce contrasti e paradossi; ne consideriamo due.
Un conflitto evidente, nella mente e nella pratica di alcuni, é tra la teologia e prassi della liberazione e l'analisi ecologica, la difesa della vita e dell'ambiente.
Ad alcuni pare che la teologia della liberazione debba occuparsi semplicemente dei poveri, del conflitto di classe, dell'opzione per gli ultimi. Pensare all'ambiente sarebbe sviarsi, distrarsi dalla lotta, tradire la gente. Invece non esiste nessun contrasto, al contrario, uma profonda connessione tra due vittime: uomini e donne messi ai margini, che gridano la loro rivolta, e l'ambiente messo in ginocchio, soffocato in silenzio. Li troviamo insieme, vittime dello stesso sistema.
Chi soffre per gli irresponsabili megaimprendimenti industriali nel sud del mondo é l'ambiente e la gente povera delle periferie, su cui ricade inquinamento e tutte le conseguenze degli equilibri ambientali stravolti. L'alleanza tra queste due vertenti (il grido dei poveri e il silenzio soffocato della natura in agonia) é il nuovo orizzonte per la liberazione integrale della Vita. Segue i percorsi del socio-ambientalismo.

Ma un altro grande constrasto emerge dalla critica alla teologia della liberazione: dicono che le comunitá di base latinoamericane si occupino troppo del 'sociale' (come se fosse possibile distinguere la convivenza sociale da ogni altra sfera esistenziale, emotiva, spirituale...). Dicono che sia troppo 'orizzontale' e si dimentichi del mistero, di Dio, si fermi al presente e perda la trascendenza. Peró la violenza ambientale e il grido soffocato della Vita che ci scappa dalle mani sono per ogni credente un profondo richiamo ad allargare e approfondire i suoi orizzonti. Noi che assumiamo la sfida dei poveri e della difesa del creato facciamo la scelta di una sorta di 'ecologia della mente'.
Entriamo in una logica molto piú ampia di noi stessi; sentiamo che ci muoviamo e siamo dentro un universo ben piú grande. Relativizziamo le nostre dimensioni e ci includiamo nel ciclo vitale universale: oltre a me e a noi, c'é l'umanitá, ci sono altre creature vive, c'é il nostro pianeta, c'é l'universo intero...
Al contrario, chi si chiude in sfere di spiritualitá isolate si rintuzzisce e spegne. Chi sente il pulsare della vita e si batte per rianimarla amplifica i suoi sensi e percepisce che anche Dio palpita nella storia.
Avanti, dunque, articolando resistenza e alternative coraggiose a chi si fa beffe del creato, riduce la vita al profitto, allo sfruttamento intensivo della terra, allo spasimo di succhiare tempo e risorse, competere per crescere e crescere, piú in alto di tutti!

La parola 'Religione' viene dal latino re-ligare. Tocca a te scegliere: ti imprigioni se ti leghi all'illusione che il culto e la dottrina sono il senso della vita. Si spalanca il mondo davanti a te se scegli la religione per seguire i legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, uma nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore.

venerdì 23 gennaio 2009

Impastiamo teologia...


Come magi in cammino verso Belém (la nostra Betlemme brasiliana), sono entrate per la porta d'Amazzonia alcune centinaia di 'assetati di Dio', per poter partecipare al Terzo Fórum Mondiale di Teologia e Liberazione (FMTL). Cristiani e non cristiani, insieme alle religioni tradizionali afro e indigene; pochi membri istituzionali e molte persone in ricerca di senso e di vita.

Gli amici del Pará, terra esuberante del nord del Brasile, ci hanno accolto parlando di Betlemme (Bet lehem, in ebraico 'casa del pane'). “La Casa del Pane sia la casa di tutti”, ci hanno detto. Quindi, ci sia pane e vita per tutti: é per questo che siamo nati... e per questo anche il Bambino é nato a Betlemme.

Il FMTL si occupa del pane della ricerca di Dio. C'é molta fame anche di questo, açtrimenti le lotte che porteremo avanti tra pochi giorni al Fórum Social Mundial perderebbero spessore e senso e si incrinerebbero al primo colpo. C'é fame di Dio, ma non solo di sentirlo sulla pelle (come molte religioni oggi offrono al consumo individuale): fame di riflettere su Dio, di capirlo, di ascoltarlo ascoltandoci.

“Teologia é pensare Dio, ma ció ci é appena possibile, e se lo possiamo é soprattutto per pensare il mondo con il punto di vista di Dio”.
Impastiamo teologia nella Casa del Pane, quindi, per pensare il mondo e metterci del lievito buono. É un lavoro fatto dai piccoli: líderes comunitari, pastori, gruppi religiosi e minoranze etniche.

La teologia di questo Fórum usa la grammatica della differenza, declina lo Spirito in varie lingue e culture: ci stiamo rendendo conto tutti, progressivamente, che Dio parla nelle molte lingue della Pentecoste e non ammette di essere ridotto ad uma unica definizione.
Se la grammatica é la differenza, l'armonia delle varie narrazioni di Dio ci viene dalla bellezza. Bellezza dei simboli, della celebrazione, della vita. Bellezza, anche, del semplice stare insieme ad ascoltarsi, per scoprirsi.

Uma parola si distacca in questi primi giorni di Fórum Teologico: 'co-spirare', che é 'respirare insieme', assumere la sfida di rigenerare la vita e seguire, coraggiosi e com speranza, il soffio dello Spirito.


giovedì 8 gennaio 2009

Camminando con i Magi


É passata da poco la festa dei Magi, persone in cammino, immagine di tutti noi.
Chi cercate, o Magi?
Sono anche le prime parole di Gesú nel Vangelo di Giovanni: cercare qualcosa, avere una direzione chiara, sapere dove stiamo andando (pur in tutte le incertezze del percorso) è ció che dá senso profondo alla vita.
C’è, chiaramente, la felicitá delle piccole cose, degli incontri e della quotidianità… ma come abbiamo bisogno, ogni tanto, di guardarci indietro e riconoscere che, sí, stiamo camminando, abbiamo una direzione.

Fin qui tutto bene, siamo d’accordo. Si tratta, in fondo, di vivere consapevoli e padroni della propria storia. Vivere, e non ‘lasciarsi vivere’.

Ma la sorpresa dei Magi è un’altra: non sono loro a pianificare il cammino, non hanno mappe né sono partiti sapendo dove andavano. Stanno seguendo una stella, obbedendo a una luce-guida.
La cercano nel cielo e tra le persone, la vedono, poi scompare, ma chiedono e frugano di nuovo nelle pieghe della gente e dei popoli che attraversano.
E cosí non si perdono, e la loro strada da sempre affascina generazioni che parlano di loro e, anch’esse, cercano nuove Betlemme.

Nella Bibbia esistono alcune persone chiamate cosí, a camminare fidandosi e cercando. La maggior parte della gente vive nelle loro case, ma nella Bibbia Dio sceglie una tenda e alcuni compagni per un cammino senza posare il capo: Abramo, Giacobbe, Mosé, Andrea, Pietro, Maria Maddalena…
È come se dicesse loro: “Voi mi appartenete, andiamo. Cerchiamo ancora luoghi in cui il Vangelo si possa fare carne”. 

La mia piccola esperienza è cosí: per molti kilometri mi sento padrone del cammino e protagonista dei miei passi, ma quando mi fermo sento la mano di chi “mi ha afferrato” (Fil 3,12) e si prende cura della direzione giusta.
In questo tempo sento anche la mancanza di vari amici che stavano al mio fianco e che ora hanno scelto “un altro cammino”. Questo indebolisce, aumenta le domande e costringe ad aprire ancora di piú gli occhi.

D’altra parte anche i Magi, nostra icona di oggi, sono stati consigliati di scegliere “un altro cammino”. Chi conosce la tua voce, Signore, creatore e guida della nostra vita, e ascolta con attenzione, in ogni caso non perderá la strada.