domenica 11 settembre 2016

Dom Franco, a braccia aperte



Credeva nella forza trasformatrice del Vangelo. Ma solo se la fedeltá a Cristo passasse per la fedeltá ai poveri. Li considerava un “luogo biblico”, perché il Dio della vita ascolta il loro grido di liberazione, come una parola sacra.
Insisteva che oltre a dare un pesce ed insegnare a pescare, occorre “ripulire il fiume”, inquinato dall’ingiustizia sociale.

Dieci anni fa, il 17 settembre 2006, moriva in Brasile per un tragico incidente di bicicletta dom Franco Masserdoti, missionario comboniano, vescovo di Balsas, nello stato del Maranhão.
“Franco riusciva ad essere allo stesso tempo vescovo e fratello”, ricorda dom Pedro Casaldaliga, altro grande maestro di vita per la chiesa brasiliana. “Si trovava bene con tutti, ma specialmente con gli inquieti ed i sognatori”.

Cominció presto a sognare e, una volta prete, ricucí i suoi sogni attorno a visioni di una nuova societá. Studió sociologia a Trento negli anni ‘60. Lá, commenta il giornalista Giorgio Bocca, “come se fosse suonato un misterioso tam-tam, tutti gli avventurosi, gli utopisti, gli spostati, gli irrequieti della penisola si sono dati appuntamento”.

Dopo un primo assaggio di missione inserita, otto anni in Brasile, gli fu affidato il compito di accompagnare ed orientare la congregazione comboniana, prima come consigliero generale a Roma, e poi come coordinatore provinciale in Brasile.
Creativo e coinvolgente, aprí per i comboniani e la chiesa locale nuove porte nel campo dell’animazione missionaria e della missione itinerante, della formazione popolare e politica, della comunicazione, della pastorale e teologia indigena…

Durante le celebrazioni dei 500 anni della “scoperta” del Brasile, nel 2000, i popoli indigeni organizzarono una grande conferenza a Porto Seguro, nello stato della Bahia, luogo del primo sbarco degli invasori portoghesi. 
Quattromila indigeni, in marcia pacifica, furono attaccati barbaramente dalla polizia, che voleva disperderli prima che rovinassero le celebrazioni ufficiali. Dom Franco, in qualitá di presidente del Consiglio Indigenista Missionario della Conferenza Episcopale Brasiliana, tentó mediare il conflitto e finí per essere anch’egli arrestato, per cinque ore.

Sono passati piú di quindici anni, ma ancora oggi le aggressioni ai popoli indigeni ricalcano la logica coloniale di cinque secoli fa.
In giugno di quest’anno, un numeroso grupo di indigeni Guarani-Kaiowá dello stato di Mato Grosso do Sul rivendicavano alcune terre ancestrali in cui si trovavano accampati. 
Un gruppo di persone armate (esistono forti indizi che si tratti di paramilitari contrattati dai fazendeiros locali) li circondarono ed iniziarono a sparare, uccidendo un giovane di 26 anni e ferendo altre 6 persone, tra cui un bambino di 12 anni. Un mese dopo, nella stessa regione, un attacco simile ferí 3 persone dello stesso gruppo indigeno; uno di loro si trova in stato grave.
I movimenti popolari e diversi gruppi religiosi denunciano da tempo la guerra non dichiarata contro questa etnia, attaccata sistematicamente: un vero e proprio processo di genocidio, con la piú totale garanzia di impunitá.

Dom Franco, che ha sperimentato sulla pelle il bruciore di questa violenza sfacciata, ci provocherebbe peró a cercare segni di speranza. 
Eccone uno, diretamente dal bacino amazzonico del Rio Tapajós: il popolo Munduruku esige che il governo brasiliano riconosca formalmente il suo territorio; in questo modo, avrebbe molto piú forza per opporsi ai numerosi progetti di dighe idroelettriche che minacciano di allagare buona parte della regione.
Insoddisfatti per l’inerzia ed i subdoli interessi dei partiti al governo, i Munduruku hanno iniziato un progetto di “auto-demarcazione”. Disegnano loro stessi la mappa della loro terra, affermando cosí dal basso l’autoritá di tracciare i confini, a partire dalla conoscenza del territorio, preservando i luoghi della pesca tradizionale, della caccia e della raccolta dei frutti nella foresta, dei villaggi e dei campi coltivati manualmente.
La storia puó essere riscritta, se diamo voce alla “parola sacra dei piccoli”.