mercoledì 3 settembre 2014

Sotto il tappeto della Coppa del Mondo

Articolo pubblicato in Nigrizia - settembre 14
Quarantatre milioni di brasiliani incollati alla televisione. È l’apertura della Coppa del Mondo. Nella celebrazione iniziale, entrano un ragazzino bianco, un’adolescente afrobrasiliana ed un indigena Guaraní di 13 anni. Al gesto classico, ormai banale, che libera una colomba bianca, segue una sorpresa: il giovane Guaraní sfodera una fascia nascosta sotto la maglietta, con la parola “Demarcação”, rivendicando il riconoscimento delle terre indigene in Brasile.

La TV, é chiaro, nasconde la scena. I Guarani sono uno dei duecento popoli nascosti in Brasile. Sono il popolo indigena con la piú alta tassa di suicidi al mondo, la maggior parte delle vittime ha tra i 15 ed i 30 anni: “Non c’è futuro, non c’è rispetto, non c’è lavoro, e non ci sono terre dove possiamo piantare i nostri raccolti e vivere” - dice un uomo guarani. I giovani “scelgono di morire perché, in realtà, sono già morti dentro”. Survival International, in occasione della Coppa del Mondo FIFA, ha denunciato “Il lato oscuro del Brasile” con una pagina ricca di approfondimenti sul suo sito.

Nello stesso giorno, a Belo Horizonte, l’afrodiscendente Rômulo Félix è trascinato a forza dalla polizia militare, che lo striscia e lo scalcia perché, durante le manifestazioni di protesta contro la Coppa, stava difendendo una giornalista. Rômulo vive sulla strada; come lui, nei mesi prima della Coppa, centinaia di persone hanno sofferto le conseguenze di una vera e propria “operazione di pulizia urbana”, che ha concentrato i senzatetto in dormitori “strapieni, con installazioni precarie e mancanza di sicurezza”. Lo denuncia il Centro Nazionale dei Diritti Umani delle Persone di Strada.

Il 25 giugno, um bambino di tre anni chiamato Luiz Felipe viene ucciso da un proiettile vagante che lo colpisce alla testa di notte, mentre dormiva in casa. In quel momento, il 41° Battaglione Militare della Polizia stava facendo un’incursione nella sua favela. Era il giorno in cui, in Italia, tutti inveivano per la sconfitta contro l’Uruguay.

Tre brevi storie ci portano alla domanda chiave del nostro articolo: chi ha vinto, in questa Coppa del Mondo?
La presidente Dilma Rousseff, dopo la finale, commentava: “In questi giorni abbiamo vissuto una festa fantastica. Il popolo brasiliano, il governo federale, gli stati ed i municipi delle 12 cittá sedi dei giochi hanno garantito una delle feste piú belle del mondo”.
E piú ricche. Nel bilancio del governo si calcola un milione di turisti stranieri (il 95% di loro ha detto di voler tornare in Brasile) e tre milioni di turisti nazionali. La FIFA ha avuto entrate corrispondenti a 6,6 miliardi di dollari.
“Venduta come un progetto in cui ‘tutti vinceranno’, in realtá la Coppa è un processo in cui alcuni hanno perso tutto, perché altri guadagnassero molto” – commenta il professor Rodrigo Guimarães, della Cattolica di Rio de Janeiro. Una delle lezioni di questa storia è che i grandi eventi sono un’ottima opportunitá per chi li promuove e per le celebritá che vi gravitano attorno, ma non necessariamente per chi li riceve.
E allora, dicono in molti, la loro approvazione sia sottoposta, prima, ad una consulta popolare.

Chi paga il conto?
La FIFA è la maggior istituzione transnazionale del Pianeta, con 209 paesi membri, piú dei 193 che aderiscono all’ONU. Le regole del mondiale letteralmente impediscono, per legge, che la FIFA perda soldi con questo evento. “L’affare d’oro è vendere un ‘pacchetto di stato d’eccezione’ ai paesi interessati ad attrarre investimenti”, ricorda il professor Rodrigo.
Ma per le 250 mila persone che sono state o ancora sono minacciate di espulsione dalle loro case, per i famigliari e gli amici dei lavoratori morti nella costruzione dei nuovi stadi, per i lavoratori sfruttati in condizioni perverse, per i senzatetto vittime delle operazioni di igienizzazione delle cittá, il Mondiale è stato catastrofico. Chi ne pagherá il conto?

Il Brasile é arrivato quarto in classifica, ma sale al terzo posto al mondo (dopo Nigeria e Cina) quando si tratta delle nazioni con il maggior traffico di persone. Non a caso, la Chiesa brasiliana ha scelto questo tema di studio e di azione per la sua “Campagna della Fraternitá 2014” in tutte le comunitá cattoliche del Paese.
Lo sfruttamento sessuale è la forma piú comune (79%) di traffico umano al mondo. Due terzi sono donne, 13% bambini e adolescenti. In Brasile esistono 241 rotte per questo traffico, piú di metá delle quali è internazionale.
Un reportage di Agência Pública ha intervistato uno straniero arrestato per sfruttamento sessuale: “Io non sto trafficando nessuno. Ho il documento della mamma di questa ragazzina. Guardate dove abitava, e guardate com’è ora la loro casa, dopo che le ho aiutate. E voi, dov’eravate?”.
Il 17,6% degli adolescenti brasiliani vive nella miseria, ha denunciato Unicef nel 2011. Ogni giorno 165 bambini e adolescenti sono vittime di abusi sessuali in Brasile. Dati che sono aumentati negli ultimi tre anni, a causa dei grandi cantieri di costruzione degli stadi, prima, e del turismo sessuale, durante l’evento.
A Fortaleza si è calcolato l’aumento del 163% dei casi di sfruttamento sessuale attorno allo stadio Castelão.
I poveri ed i piccoli, quasi automaticamente, sono i piú esposti in occasione dei grandi eventi e sono costretti ad integrarsi e adattarsi ad essi, nelle poche maniere che sono loro permesse.

La Coppa del Mondo è il simbolo estremo della grandiositá e delle contraddizioni di questo modello di sviluppo. In Brasile ne esistono molti esempi: enormi progetti di infrastruttura, vastissime distese di monocultura e agrobusinness, dighe e centrali idroelettriche che disboscano e allagano immensi territori amazzonici, le maggiori miniere a cielo aperto del mondo. Ne sono vittima le popolazioni piú fragili: senza fissa dimora, favelados e abitanti delle violente e caotiche periferie urbane, contadini o pescatori in piccola scala, afrodiscendenti, popolazioni indigene.
Anche in questo caso, ai piú deboli non si lasciano alternative e l’unica possibilitá che resta, apparentemente, è l’adattamento ai grandi progetti, o meglio, ai progetti dei grandi.

Se facessimo una radiografia al Brasile dei Mondiali, vedremmo che sotto il verde e oro della bandiera si nasconde una nazione con una serie di domande sociali represse: la distribuzione della ricchezza ancora estremamente diseguale, la negazione del diritto alla casa e alla terra per tutti, violente aggressioni ambientali, lo sterminio della gioventú nera e povera, la bassa qualitá dei servizi pubblici, la corruzione politica e la precarietá strutturale del sistema di educazione.
“Malgrado negli ultimi dieci anni siano stati dati passi significativi in alcune di queste aree, esiste ancora un malessere sociale molto ampio, profondo ed antico”, ricorda il professor Guimarães.

Per questo, i Comitati Popolari anti-Coppa (vedi box a fondo articolo) e le proteste in molte cittá del Brasile che gridavano “La Coppa non si fará!” sono stati una continuitá logica delle grandi manifestazioni dell’anno precedente, che il 22 giugno 2013 hanno portato in strada piú di tre milioni di persone.
Não vai ter Copa!” significa, in questo senso, “non è questo il nostro gioco, non entriamo in campo come spettatori felici di una festa che non è la nostra”.

Repressione
Tutte le feste private, ad esempio del banchetto di Erode, hanno bisogno di un forte Stato di repressione per poter avvenire indisturbate.
Il parallelo è evidente, da un anno a questa parte, in Brasile. Durante tutto il mese di giugno 2013, milioni di persone nel Paese hanno organizzato manifestazioni di massa. La polizia militare ha risposto in modo molto violento e non controllato. Amnesty International denuncia: “È stato usato gas lacrimogeno indiscriminatamente, in un caso addirittura dentro un ospedale; sono stati sparati proiettili di gomma contro persone inoffensive, sono state ferite centinaia di persone, tra cui un fotografo che ha perso un occhio, altre centinaia sono state arrestate senza alcuna prova che dimostrasse il loro coinvolgimento in attivitá criminali”.
Con il timore che questo schema di violenza istituzionale si replicasse nella Coppa del Mondo, Amnesty ha pubblicato a inizio giugno 2014 un rapporto dal titolo significativo: “Usano la strategia del terrore”.
In agosto 2013 è stata approvata in Brasile la legge 12.850 sulle Organizzazioni Criminali. In seguito, varie persone che hanno preso parte a proteste pubbliche e manifestazioni sono state arrestate ed inquadrate nelle penalitá previste da questa legge.
Amnesty denuncia uso eccessivo della forza, arresti arbitrari, negazione del diritto ad un avvocato, impunitá dei poliziotti militari responsabili di violenza. “Il semplice fatto di portare con sé bandiere, striscioni, inchiostro o aceto (per ridurre gli effetti dei lacrimogeni) è stato considerato sufficiente per arrestare ed interrogare persone”.
Un manifesto pubblico firmato da 92 eminenti giuristi brasiliani ha ripudiato questo stato di violenza: “Fin da giugno dell’anno scorso, osserviamo che, invece di rispondere alle rivendicazioni con proposte che concretizzino i diritti sociali, gli agenti del Potere Pubblico hanno risposto con violenza e tentativi abusivi di criminalizzare gli attivisti”. Si giunge all’assurdo di sequestrare libri nelle case delle persone “sospette”, di investigare “persone che attuano in maniera organizzata con l’obiettivo di mettere in questione il sistema vigente” (senza che vi sia indicazione di qualsiasi fatto specifico che caratterizzi un crimine), arrestare illegalmente persone ed infiltrare agenti segreti nelle manifestazioni, senza alcun permesso dell’autoritá giuridica.

Fotos de Marcelo Cruz
In vari casi, e in modo sistematico, l’apparato statale si pone sempre piú come avversario della popolazione e la attacca pubblicamente. La Coppa del Mondo è la punta dell’iceberg di una tendenza progressiva: criminalizzare chiunque critichi gli obiettivi dei poteri pubblici e l’alleanza, sempre meno cammuffata, tra lo Stato ed il grande capitale internazionale che si sta impossessando dei chiamati “paesi in via di sviluppo”. Nei paesi vicini al Brasile, questo fenomeno appare con ancor maggior evidenza: il Perú ha legalizzato l’attacco pubblico ai cosiddetti “terroristi ambientali”, che sono gruppi, movimenti e persone che si oppongono all’installazione di grandi progetti e infrastrutture di saccheggio dei beni naturali, specialmente minerari. Nel 2007, il presidente dell’Equador Rafael Correa ha dichiarato, nella stessa linea: “È finita l’anarchia. Tutti coloro che si oppongono al progresso del Paese sono terroristi. Tutti quelli che faranno manifestazioni con blocchi stradali saranno puniti con tutto il rigore della legge. Non sono le comunitá che protestano, ma un piccolo gruppo di terroristi; gli ambientalisti romantici e gli ecologisti infantili sono coloro che vogliono destabilizzare il Governo”.

Nel 2012, un intervento durante il Consiglio di Diritti Umani dell’ONU raccomandava al Brasile l’estinzione della Polizia Militare. La desmilitarizzazione della polizia è un tema estremamente urgente nel Paese: le forze armate sono esercitate a combattere il nemico esterno e ad ucciderlo, quando necessario. La Polizia, al contrario, deve rispettare i diritti umani; inoltre, un poliziotto deve poter essere giudicato come qualsiasi altro cittadino, e non dalla Giustizia Militare. Molti degli stessi membri della Polizia Militare difendono questa tesi, giá che non hanno sufficienti diritti lavorativi e soffrono loro stessi violazioni di diritti umani.

Nella stessa logica, anche l’apparato di sicurezza ed i servizi segreti statali devono svincolarsi dagli interessi dei grandi poteri economici: sempre piú, i movimenti sociali in Brasile sono vittima di spionaggio, infiltrazioni e violazione della privacy da parte di questa alleanza spuria tra il potere pubblico e privato.

Il calcio e la politica
Notiamo, a partire da queste informazioni e riflessioni, quanto la Coppa sia stata vincolata al modello di Stato e di sviluppo che si vuole imporre al Paese.
Fortemente desiderati da parte del presidente Lula, i Mondiali in Brasile dovevano essere per la presidente Dilma un’opportunitá preziosa verso il suo secondo mandato, giá che il 2014 è anno elettorale.
Da quando sono iniziate le grandi proteste del 2013, peró, l’evento ha mostrato tutta la sua ambiguitá ed il suo pericolo: una prova del fuoco per il governo del Partito dei Lavoratori (il PT). La Coppa non iniziava piú in attacco, occorreva organizzarsi bene in difesa!
Si temeva molto la protesta popolare, il che spiega l’enorme dispiegamento di forze preventivamente messo in campo: 57 mila soldati e 45 mila poliziotti militari, 36 elicotteri e 170 strutture di sicurezza attorno agli stadi.
L’agenda sportiva era strettamente vincolata all’agenda politica. Il successo dell’una poteva garantire quello dell’altra… ma la sconfitta o il fallimento di questo grande evento sportivo sarebbe stato automaticamente un pugno nello stomaco per l’attuale dirigenza politica.
Possiamo dire che il governo brasiliano, malgrado tutte le contradizioni evidenziate, esce dalla Coppa avendo saputo difendersi bene politicamente. Chiusa questa pagina, apre immediatamente la nuova corsa verso le elezioni, in competizione con i partiti conservatori di opposizione che vogliono strappare al PT gli ultimi dodici anni di governo.

Per chi, peró, gioca la sua partita nel campo della vita dura di tutti i giorni, per i ‘piccoli’ di cui parlavamo piú sopra, resta chiaro che al di lá delle posizioni politiche dei diversi candidati alla presidenza continua indiscussa una profonda violenza strutturale.
È la violenza del modello di sviluppo fondato sul saccheggio delle risorse, sul razzismo e la discriminazione delle popolazioni tradizionali. La violenza della democrazia formale che non dialoga effettivamente con la societá civile organizzata e preserva un sistema di privilegi, corruzione ed impunitá.
C’era anche questo messaggio, probabilmente,  dietro ai fischi che hanno accolto la presidente Dilma nel giorno dell’inaugurazione della Coppa a São Paulo. Lula lo ha riconosciuto, ammettendo che il Governo non ha prestato abbastanza attenzione all’insoddisfazione di una larga fetta di popolazione.

In questo senso, il calcio ha influenzato profondamente il processo politico-elettorale. Le molte iniziative a margine del grande evento sportivo e mediatico (Coppa Ribelle, Coppa Popolare, Coppa dei Rifugiati, Coppa delle Ragazze, Mondiali di Calcio di Strada, Coppa Rivoluzionaria delle Donne, ecc), cosí come tutte le manifestazioni e proteste organizzate, hanno mostrato un volto critico e politicizzato della societá civile, che occorre coltivare incessantemente.

"É ancora presto per dire se i movimenti sociali che sono nati o si sono rafforzati in occasione dei Mondiali di calcio hanno avuto successo o no. Sicuramente hanno mostrato una “vitalitá embrionale” ed hanno mostrato la deficienza dei partiti politici attuali, incapaci di rappresentare vari settori della societá”, commenta il professore di etica e scienze politiche Roberto Romano (Universitá di Campinas).

Gli fa eco il sociologo Luiz Werneck (Cattolica di Rio de Janeiro), affermando: “La societá, oggi, è piú moderna del suo Stato, come si puó verificare dall’emergenza dei movimenti sociali che sbocciano da tutte le parti e si mantengono estranei alla politica istituzionalizzata”.

È su queste basi che il Brasile continua in costruzione. Il Comitato Popolare della Coppa, per esempio, afferma che la sua agenda ufficiale di azioni e proposte continuerá perlomeno fino a dicembre: “Le partite sono finite, ma la Coppa no: molte cose rimangono. Dobbiamo discutere il modello di cittá, le spese per la sicurezza pubblica e gli armamenti. I municipi si sono indebitati e questo conto resta aperto”.

Probabilmente nei prossimi mesi non occorreranno nuove grandiose proteste come quelle dell’anno scorso, ma azioni specifiche, con rivendicazioni precise. Resta viva la speranza che la societá civile si organizzi sempre piú e tessa reti interattive e esperienze di appoggio e solidarietá tra un movimento e l’altro.
È possibile anche che si protragga, in parallelo e almeno fino alle elezioni, la repressione militare da parte dello Stato, giá che non esistono forme di dialogo efficace e maturo con la societá civile.

Noi Missionari Comboniani continuiamo a fianco delle persone e dei segmenti della societá piú colpiti e infragiliti da questo modello di sviluppo e dall’attuale sistema di potere: camminiamo e r-esistiamo con le vittime del saccheggio delle risorse naturali, gli afrodiscendenti, gli abitanti delle periferie urbane, i detenuti, alcuni popoli indigeni.
Malgrado tutto, il pallone continua a piacerci, giochiamo con agonismo e facciamo il tifo assieme alla gente, cogliendo il gusto della festa, della passione condivisa, della vittoria sudata, nei campi di calcio e nella lotta di tutti i giorni!

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Ascoltando i Comitati...
“Siamo tifosi che non hanno accesso agli stadi. Siamo lavoratori ambulanti che non possono lavorare. Siamo abitanti delle favelas e di occupazioni urbane sloggiati o minacciati di perdere le loro case. Siamo senza terra e senza tetto organizzati in lotta. Siamo donne, bambini e adolescenti, gays e transessuali e soffriamo tutte le forme di violenza e sfruttamento sessuale. Siamo poveri, neri, periferici, siamo sterminati alle porte della notte da uno Stato terrorista. Siamo gente di strada, persone con malattie mentali, professionisti del sesso, espulsi dai centri delle grandi cittá, internati obbligatoriamente o arrestati senza condanna. Siamo lavoratori nella costruzione civile, sfruttati e precarizzati nel nostro lavoro. Siamo anziani e persone con handicap, discriminati. Siamo cittadini le cui tasse sono sottratte dai bilanci pubblici per il beneficio privato di poche persone. Siamo giocatori e giocatrici di pallone, ma ci hanno rubato i nostri piccoli campi di calcio. Siamo amanti del calcio. Siamo 99% della popolazione. (…)
Da quando il Brasile è stato annunciato come sede della Coppa del Mondo 2014, la popolazione ha sofferto diversi impatti. Invece di celebrare lo sport piú popolare del Paese e offrire miglioramenti nella vita della gente delle cittá, la preparazione di questo mega-evento è stata occasione per aumentare, accelerare e intensificare le violazioni di diritti umani in tutta la cittá”.

(dal Manifesto “La Coppa per chi?”, del Comitato Popolare della Coppa in São Paulo)