martedì 25 dicembre 2012

Per celebrare Natale


Non so ancora come si chiama.
La notizia ci è arrivata da poco, quasi per caso: la morte sembra una normalitá, pure se afferra una bambina di nove anni.
Pure se avviene con una lenta agonia.
Pure se la famiglia non aveva colpe. Pure se, di nuovo, sono i gas ed il fumo delle siderurgiche a strappare lembi di vita alla gente di Piquiá.

Ho voluto scrivere queste poche righe, come una preghiera, nella notte di Natale.
Prima di celebrare la vita, dobbiamo sempre posare i piedi profondamente nella storia di sofferenza della nostra gente.
Il Vangelo insiste che Gesú fu avvolto in fasce, appena nato, per indicare di che morte avrebbe dovuto morire: restituito cadavere in braccio a sua mamma dai soldati che l’uccisero, avvolto in fasce in un sepolcro che l’avrebbe trattenuto solo per tre giorni.
La morte e la vita sono cosí vicine, nell’esistenza della nostra gente…

Nel silenzio della notte di Natale contempleremo uma Vita che nasce e un’altra in piú che muore vittima della condanna moderna del ‘progresso’: l’inquinamento, l’esclusione, il sacrificio di alcuni perché –dicono- altri possano crescere.
La Pace che ci auguriamo tanto in questi giorni ci lasci inquieti ed appassionati, finché diventerá, davvero, Pace per tutti e tutte.
Foto: Marcelo Cruz

sabato 24 novembre 2012

Un Dio falso, muto, senza cuore


Ho incontrato il presidente della seconda maggior industria mineraria del mondo.
Al 16° piano di un palazzo che cresce tanto in alto quanto profondi sono i buchi che l’impresa scava nei territori e gli impatti che lascia nelle vite della gente.

Mi sono ricordato di Mosé, quando ha incontrato Faraone. Gli tremava la voce, ma il discorso era fermo, perché stava presentando la sofferenza di un popolo intero, schiavizzato, sedotto, ingannato.

Faraone significa ‘grande casa’, centro del potere, controllo dell’economia e dei territori.
Non esiste, peró, nessuna ricchezza accumulata senza conseguenze nascoste, ‘zone di sacrificio’, impatti ‘inevitabili e necessari’, che qualcuno deve soffrire perché molti, suppostamente, possano crescere.

Il Dio di Mosé abita in questi ritagli di mondo sacrificati per la vita dei Signori dell’economia. Da lá sotto, soffia sulle braci della rivolta organizzata dei poveri.

Il Dio di Faraone, che é un idolo, per tenersi in piedi ha bisogno della menzogna. Non una menzogna esplicita, nuda, evidente. È la distanza seduttrice e velata tra la propaganda, i ‘valori corporativi’, i ‘mantra della nostra impresa’… e la pratica reale.

Il Dio di Faraone, che é muto, per farsi ascoltare ha bisogno di arroganza. Non arroganza fisica, diretta. È la violenza simbolica di chi impone il suo potere su comunitá che non hanno elementi o la forza suficiente per contrapporsi.

Il Dio di Faraone, che non ha un cuore, per farsi amare há bisogno di seduzione. Seduzione fatta di promesse raramente mantenute, di milioni di dollari di marketing, di um buon lifting che trasforma l’impresa ed il progresso, mostrandoli belli da lontano ma rivelando che da vicino puzzano, marci.

Come hanno fatto, Mosé ed il suo popolo, ad allontanarsi da Faraone e mettersi in cammino ala ricerca di una nuova terra, in costruzione permanente di nuove relazioni e di una nuova societá?

Credo che la chiave della liberazione sta nella visita di Mosé alla casa di Faraone: l’israelita, seppur balbettando, non si è lasciato sedurre dall’eloquenza del signore d’Egitto e non ha desistito dal Dio fragile e piccolo che si manifestava agli schiavi.

In qualche modo, ha intuito e creduto che c’era piú veritá nella voce di quelle vittime e che la vita aveva senso se vissuta a fianco del suo popolo, e non nella reggia di Faraone.

Mosé è ciascuno/a di noi che viviamo insieme alle comunitá minacciate da questo modello di sviluppo.
Ogni giorno soffriamo la tentazione che la logica di faraone conquisti il nostro cuore, un nostro amico, un coordinatore che all’imprrovviso abbandona il lavoro collettivo, la resistenza, la gente…

Liberazione, prima ancora di uscire dalla dominazione, è non lasciar entrare il dominatore dentro di noi.

domenica 14 ottobre 2012

Missionari Comboniani in difesa della Giustizia Ambientale


Ottobre 2012: il vescovo Michele Russo, missionario comboniano, viene espulso dal Ciad, uno dei piú poveri paesi africani. In una delle sue omelie, aveva provocato il governo riguardo ai profitti del petrolio: nell’opinione del vescovo, non c’è trasparenza nella destinazione del denaro, ci sono sospetti di arricchimento illecito di pochi, mentre gi impatti socioambientali ricadono sullo strato piú povero della popolazione.
Il governo del Ciad considera che il missionario “si è dedicato ad attivitá incompatibili con il suo ruolo”.

Luglio 2012: in Perú, il responsabile dei missionari comboniani per Giustizia e Pace, p. Juan Goicochea, denuncia centinaia di conflitti socioambientali nel suo paese, legati alla resistenza dei popoli peruviani contro le imprese minerarie. In tre giorni di violenza nella regione di Cajamarca, ci sono stati 5 morti e vari feriti. Un altro padre, Marco Arana, è stato imprigionato e torturato. La chiesa peruviana ha negoziato attivamente con il governo per trovare una via d’uscita nel dialogo con le comunitá di Cajamarca. In novembre, una delegazione di Vivat (ONG dei missionari/e che denunciano all’ONU le violazioni dei diritti umani e cercano di garantire protezione alle vittime) visitará la regione in solidarietá.

Brasile: nella regione piú ricca al mondo di giacimenti di ferro, Carajás, i Missionari Comboniani Brasil Nordeste dal 2007 stanno denunciando innumerevoli violazioni dei diritti socioambientali di popolazioni tradizionali, indigene, comunitá rurali ed urbane. La rete Justiça nos Trilhos, fondata dai comboniani ed altri movimenti, affronta ogni giorno diversi conflitti per via delle operazioni di quella che è stata eletta la ‘peggior multinazionale del mondo’ in 2012, la compagnia mineraria Vale S.A.
Malgrado tutto, il governo brasiliano continua finanziando gli investimenti di Vale e ‘benedicendo’ i suoi progetti aggressivi di espansione.

Le industrie estrattive di minerali e petrolio stanno intensificando mondialmente i loro investimenti e grandi opere, per approfittare in pochi anni, ad un ritmo violento e distruttivo, della congiuntura favorevole di prezzi e della fame di materie prime.
In molte regioni del mondo, il boom dell’estrazione calpesta i diritti delle comunitá locali, aggredisce l’ambiente e gli equilibri fino a quel momento stabiliti nei ritmi di vita e nelle relazioni tradizionali.
I governi locali appoggiano questa politica economica dettata da grandi multinazionali, illusi che il ‘progresso’ che si installa nelle regioni ricche di giacimenti sia permanente e installi un ciclo progressivo di crescita.
Fino a prova contraria, il destino di ogni progetto estrattivo è stato abbandonare i territori non appena cominciassero a scarseggiare le risorse naturali e trasferire gli investimenti in nuove regioni da aggredire.
Alle popolazioni locali avanzano solo i crateri e i castelli nel deserto di infrastrutture e cittá costruite durante il picco della produzione.

Da sempre, i missionari si sono dedicati alla vita e liberazione dei piú poveri ed abbandonati. Cristo risorto li invia e li attende tra le vittime, perché, riconoscendolo presente, i poveri alzino la testa e la voce e ricostruiscano relazioni a misura dei loro sogni.

Osservando queste grandi opere estrattive, i missionari ricoscono che vi si trova una forma cinica di ‘razzismo ambientale’: le vittime degli impatti socioambientali sono sempre i piú poveri ed esclusi. I popoli del sud del mondo, ove sono installati i progetti piú aggressivi ed inquinanti; le comunitá delle periferie urbane, che ricevono gli scarti della produzione e convivono diariamente con la pattumiera del progresso; i popoli indigeni, le comunitá tradizionali ed i piccoli produttori rurali, che vengono sempre piú isolati dall’avanzare del deforestamento, dalla concentrazione delle terre, dallo sfruttamento di miniere e giacimenti.

Affrontare il razzismo ambientale, in nome di Cristo risorto, sconvolge i parametri di crescita e di futuro e spinge i missionari/e ad assumere posizioni sempre piú coraggiose: no all’aggressione sfrenata delle industrie estrattive, no alla complicitá degli Stati per un progresso che continuerá ad essere di pochi. Sí alla vita delle comunitá che determinano la loro propria gestione dei territori, dei beni e del futuro.
Ci sembra, questa, una nuova ed efficace lettura delle beatitudini di Gesú nel mondo affamato di oggi.

venerdì 31 agosto 2012

Mi disse Shalom...


Mi disse “Shalom” e mi abbracció.
Fu subito dopo il rito di ordinazione sacerdotale, l’ultima volta per lui come vescovo di Milano. Il cardinal Martini abbracció ciascuno di noi e ci auguró pace, nella lingua della Bibbia: stava per partire per Gerusalemme, dove avrebbe contemplato gli ultimi soffi della Parola di Dio.

Pur coordinando la diocesi piú popolosa del mondo, si ricordava di ciascuno dei suoi preti e di molti laici e laiche, con cui costruí un nuovo modo di essere chiesa. Ancora dieci anni dopo, aveva la delicatezza di leggere le mie lettere e di rispondermi, brevemente, ma con attenzione.

Ho imparato molto con lui: mi ricordo ancora delle notti passate con altre centinaia di giovani, seduti per terra nel Duomo di Milano pieno di gente che celebrava con lui le veglie di Lectio Divina “in traditione Symboli”. Parlava lentamente, con voce profonda, non voleva catturare l’attenzione con espressioni esagerate, ma per la veritá che evocava in chi seguiva le sue parole.

Ancor oggi mi chiedo come poteva manenere la serenitá e la luciditá, nell’amministrazione di una chiesa immersa nel mondo tanto complesso e contradditorio del nord Italia. Mi sorprendeva sempre la sua capacitá di sospendere i problemi e l’affanno e prendersi un giorno intero per sé e per Dio. Era ogni mercoledí, mi sembra; usciva dalla cittá e andava a camminare in montagna, da solo, come Mosé in ricerca di Dio.

L’ultima volta che l’ho visto, ero di passaggio in Italia e lui stava celebrando in una piccola chiesa vicino al mio paese. Alla fine, è entrato in sacrestia ed io non ho avuto il coraggio di andare a salutarlo. Era fragile e stanco. Volevo ricordarmi di lui con questa distanza rispettosa, non era necessario forzare un’intimitá maggiore. Preferisco essere intimo di quello che ha scritto, che mi ha insegnato, della fermezza e profonda serenitá che mi ha trasmesso.

Un altro padre che ci lascia con la sfida di vivere in pienezza. Come tutti i riti di iniziazione e di passaggio, credo profondamente che, per l’imposizione delle mani, un po’ dello spirito dei nostri antenati passa a vivere dentro di noi. Se è cosí, non ti lasceró morire…

domenica 1 aprile 2012

La terza riva del fiume


Il fiume Pindaré scende lento ed ampio, d’inverno, a fianco di villaggi nel profondo interno di questo nostro Maranhão.
Gruppi di famiglie si sono insediati nelle terre a margine del fiume: una piccola riforma agraria che interrompe, a macchia di leopardo, terre di fazendeiros.
Vicino alla riva corre, parallelo, un altro flusso: la ferrovia dell’impresa Vale, che trasporta 300mila tonnelate di minerale di ferro al giorno, per l’esportazione. Questo treno del profitto non si ferma, non conosce ostacoli. Travolge, uccide, sveglia col suo rumore assordante e crepa le pareti di fango delle case in mezzo a cui passa.
Sull’altra riva, i pascoli di una fazenda, che dev’essere cresciuta pian piano comprando gli appezzamenti dei piccoli e sommando una proprietá all’altra. Nuova accumulazione, riforma agraria al contrario: è ancora possibile cambiare questa storia, invertire i flussi, modificare il corso della corrente, tornare a sentire che il fiume, la terra, le risorse sono patrimonio nostro, di tutti noi?

Esiste, se guardiamo bene, una “terza riva del fiume”: attraversiamo il Pindaré in un tronco cavo, con l’acqua che raggiunge il bordo della canoa per il nostro peso. Risaliamo la collina, con gli attrezzi in mano ed il fiato che vien meno.
Finalmente un pezzettino di terra libera, dove le famiglie stanno sperimentando una maniera diversa di coltivare. È il primo campo agro-ecologico di questa regione, senza bisogno di incendiare o di usare veleni chimici, a misura delle forze e delle condizioni economiche della gente dell’interno.
È una piccola macchia di speranza, un flusso debole di alternativa; nemmeno sappiamo se gli agricoltori si convinceranno delle sue potenzialitá.
Ma la terza riva del fiume è stata tracciata e vogliamo credere che ha modo di cambiare un po’ il corso della storia di questi piccoli!

PS: l’immagine della “terza riva del fiume” è del poeta Guimarães Rosa

sabato 17 marzo 2012

Cambiare?


“Un altro che se ne va...”
I vicini commentano rassegnati, all’ombra di un cajú, mentre dall’altra parte della strada polverosa e piena di buche il camion del trasloco comincia a riempirsi.
Un sofá, un letto smontato, vestiti ammucchiati ed un vai e vieni da dentro a fuori di casa, per non dimenticare nulla.
I bambini osservano riflessivi: sará realmente migliore il posto dove stiamo andando?

Il villaggio di Piquiá de Baixo lotta da piú di cinque anni per una ricostruzione di tutte le sue case lontano dall’inquinamento delle siderurgiche, che si sono installate praticamente dentro i cortili di 350 famiglie.
La resistenza è collettiva, ci sono giá state molte proteste, come il blocco della statale o la manifestazione a tu per tu con la Governatora con maschere anti-fumo a coprire il viso.
Ma ogni volta che una famiglia se ne deve andare per proteggere la salute dei bambini o per fuggire dal rumore assordante della termeoelettrica, questa forza comune si indebolisce.

Il trasloco è precario. Un’altra casa che resterá chiusa e vuota. Una famiglia in piú che rischierá la sopravvivenza con un nuovo affitto sulle spalle. “Non stiamo fuggendo, padre. Puoi crederci: quando ci chiameranno per resistere, saremo qui di nuovo!” – garantisce il capofamiglia.

Fuori dalla chiesetta, una vecchia grande croce piantata nel suolo, grigia per l’inquinamento, si è poco a poco inclinata, come se non reggesse il peso di tanta ingiustizia. Tre uomini, mentre il trasloco sta terminando, cercano di raddrizzarla, prima dell’inizio della messa della domenica.

Quando potremo celebrare la dignitá di questa gente, con la testa alta, senza paura né obbligo di fuggire? Quando finalmente, invece delle croci e delle ceneri di questa quaresima permanente, anche noi sperimenteremo la vertigine di chi puó sognare e costruire la sua storia?

mercoledì 8 febbraio 2012

La peggiore del mondo

É un risucchio di risorse dalle viscere della terra e della gente.
Ogni giorno ci passa davanti agli occhi, 12 volte, giorno e notte, il treno della maggior compagnia mineraria del mondo, chiamata Vale S.A.. Carico di ferro e altri minerali, é un salasso quotidiano e silenzioso a cui la gente si é ormai abituata e che attorno a sé ha creato un ciclo produttivo estremamente dannoso: siderurgiche, produzione di carbone, inquinamento, monoculture di eucalipto, gente sem-terra e terra sem-vida...
É il saccheggio neocoloniale di risorse, in funzione di un profitto immediato che lascia impatti e ferite profonde nei territori e popolazioni locali.

La profezia ci chiede di prendere posizione, ma con competenza e serietá. Per questo da vari anni siamo organizzati nella rete “Sui binari della Giustizia” (Justiça nos Trilhos), per esigere uma ripartizione piú giusta degli enormi guadagni della impresa Vale e una ricaduta efficace sul nostro territorio e la nostra gente.

Crediamo molto che la chiesa si debba impegnare nella difesa dei diritti socio-ambientali della gente che vive “alle periferie del mondo”.
La chiesa qui in Brasile (specialmente nelle nostre regioni del nord del paese) é molto sensibile alla promozione dell'integritá del creato. La vita é dono di Dio e abbiamo la responsabilitá di prenderci cura non solo della nostra, ma soprattutto di quella delle generazioni dopo di noi.
Dobbiamo pronunciarci con coraggio contro questo modello di sviluppo a senso unico e senza futuro. Proprio in questi giorni (4-8 febbraio) in Sudafrica avviene un incontro internazionale del Consiglio Mondiale delle Chiese sul tema dell'impatto dell'estrazione mineraria (e la nostra rete Justiça nos Trilhos è lá, per organizzare alleanze sempre piú solide ed ampie).

Il nostro lavoro di missionari qui é prenderci cura delle comunitá che in vari modi sono vittime del sistema di estrazione mineraria: conflitti fondiari, espulsione dalle loro terre, conflitto con popolazioni indigene o afrodiscendenti, inquinamento delle falde acquifere e dell'aria che si respira, incidenti e morti per il passaggio costante dei treni di minerale di ferro... oltre al contrasto visibile tra la miseria delle comunitá locali ed un treno che passa trasportando ogni giorno il corrispondente in ferro di un valore bruto di 20 milioni di euro!

La nostra sfida é aiutare le comunitá a comprendere la dimensione del conflitto che stanno vivendo, metterle in comunicazione le une con le altre, dare visibilitá alle loro rivendicazioni, proporre alternative di vita in equilibrio con le risorse del territorio e le prospettive di futuro della nostra gente (per esempio agroecologia ed economia solidale).
Essere missionari significa denunciare le strutture di peccato sociale che si sono installate nelle nostre regioni, a servizio del vorace sistema neoliberale, ed annunciare il Regno di Dio che nasce nelle relazioni di equlibrio, rispetto e valorizzazione dei piú piccoli e della vita.

Nel mese di gennaio, il nostro lavoro di denuncia e organizzazione delle comunitá-vittime di questo modello di sviluppo in Brasile ed altri paesi del mondo ha portato alla nomina dell’impresa mineraria Vale come la “peggior multinazionale del mondo”. In occasione del Public Eye Award, evento internazionale promosso a Davos, in Svizzera, in occasione del Forum Economico Mondiale, il premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha consegnato ufficialmente questo riconoscimento all’opinione pubblica mondiale, sempre piú critica rispetto alle contraddizioni di questo modello economico.

É una vittoria delle popolazioni che in vari modi si sentono vittima di Vale. Il risultato ha sorpreso anche noi, che abbiamo proposto la candidatura della multinazionale. I media internazionali stanno divulgando la notizia e Vale non potrá piú cammuffare gli impatti che finora é riuscita a nascondere. La critica si espande al modello aggressivo del saccheggio minerario, che alimenta un sistema affamato di materie prime e insustentabile nella sua voracitá.