giovedì 22 dicembre 2011

Aspettare?

Caricando dentro di sé il sapore di Africa e America Latina, una mia amica si lascia stupire ogni volta dall’ambiguitá del verbo scoperto qui tra noi: esperar significa allo stesso tempo attendere e non perdere la speranza.

A dire il vero, ho sempre avuto una certa rabbia contro questo verbo: aspettare cosa? Immersi in una realtá ingiusta o grigia, danno fastidio la passivitá, il conformismo e l’adattamento di molti che pensano tra sé “va giá bene cosí”…
Mi piace molto di piú il canto degli anni di resistenza alla dittatura, che diceva “Esperar não è saber. Quem sabe faz a hora, não espera acontecer”. Non c’è nulla da aspettare, se vogliamo anticipare nuovi tempi…

In questo avvento, peró, che è attesa… sono successe molte cose. Abbiamo perso un caro amico comboniano, p. Franco, per via di un incidente stradale. All’improvviso, un evento che spiazza e spezza le gambe.
Poco dopo, Ilaria e Federico, laici missionari comboniani della nostra famiglia di Açailândia, ci hanno rivelato che finalmente, dopo tanta attesa… sono ‘gravidi’! Una buona notizia desiderata da tempo e da tanti.

Ci sono lezioni che crediamo di sapere a memoria ma che dobbiamo ogni volta reimparare sulla pelle. La piú importante è che… la vita non ci appartiene. E che occorre aprire spazi per lasciarla entrare.

Mi piace quando celebriamo nelle piccole comunitá rurali: facciamo un cerchio, apriamo uno spazio, lasciamo un vuoto nel mezzo di noi, per ascoltarci, per permettere che qualcosa di nuovo avvenga nal nostro incontro. L’importante sta nel mezzo… e nel mezzo non ci siamo noi. Non c’è nessuno, ma silenzio e spazio.
È lí che la vita e Dio avvengono.


È in questo modo che stiamo vivendo il Natale oggi. Che p. Franco ci accompagni ed il piccolo(a) di Ilaria e Federico cresca con sapore e passione di Brasile!
Tre foto riassumono quello che è avvenuto negli spazi che abbiamo saputo aprire insieme alla nostra gente:


- la Romaria da Terra e das Aguas é stato il momento piú intenso, quest’anno, in cui abbiamo celebrato la vita dei poveri e la profezia della chiesa al loro fianco





- l’occupazione della strada principale del nostro Stato ha mostrato che vale la pena difendere i diritti della gente e con la gente, senza misure





- una bimba sollevata in alto per l’impegno delle piccole e nascoste comunitá rurali ci fa inseguire sogni che non sono piú grandi di noi


Buona nascita a Dio e a tutti noi!

domenica 30 ottobre 2011

Immergendoci nella Giustizia Ambientale

Prainha do Canto Verde é uma comunitá di pescatori a cento kilometri da Fortaleza, Ceará.
Chi la visita in spirito di ascolto, cade subito nella rete seduttrice dei racconti e delle tradizioni di gente ospitale e semplice.
Di generazione in generazione l’arte della pesca, all’amo o con rete, è ripassata religiosamente e in silenzio, dai piú vecchi ai figli e nipoti, nella pratica dei gesti piú che con parole vuote.

Ogni settimana, piccole ‘jangadas’ entrano nel mare e restano al largo per giorni interi, lá dove “rimani solo tu, tra il cielo e le acque”.
Di notte, quattro pescatori in ogni jangada si ritirano negli spazi stretti soto le tavole della barca, riparandosi dal freddo, dal vento e dalle onde che bagnano la superficie.
Ma un quinto deve restare sveglio, lá fuori, tuta la notte: c’è una lampada a gas che deve restare accesa, nel buio totale, per evitare che le grandi navi dell’esportazione del ferro, in alto mare, travolgano le minuscole jangadas ed il loro prezioso carico di vita.

E cosí, questa ‘sentinella della luce’ è anche sentinella della vita.
Ci insegna, ancora una volta nel silenzio dei gesti, cosa sia Giustizia Ambientale: difendere la vita delle persone e dei territori che da tempo vivono nell’equilibrio dei loro ritmi e saperi, ma che sempre piú vengono aggredite da un progresso travolgente, che corre distante da loro e puó passare sopra di loro, schiacciandole.

lunedì 12 settembre 2011

Cristo risorto cammina in mezzo a noi

Il 10 e 11 di settembre abbiamo vissuto a Piquiá/Açailândia un’autentica esperienza di fede e di incontro con il Signore risorto.

“Ecco che io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, disse il vincitore della morte. Si riferiva, lo crediamo, alla fine di questo mondo di ingiustizia e alla nuova creazione di un Regno di condivisione e armonia tra tutte le creature.

La Romaria da Terra e das Águas do Maranhão é stata in questi due giorni un pezzettino di costruzione del nuovo mondo in cui la chiesa crede e che nasce sempre a partire dai piccoli e dagli esclusi. Diecimila persone e i vescovi di tutto il Maranhão si sono riuniti per celebrare, denunciare e mostrare cammini di vita per lo Stato piú povero di tutto il Brasile. Terra, Águas, Direitos: defender, resistir, construir” era il titolo di questo evento. Spiegato con una citazione bíblica coraggiosa, ispirata a Ap 11,18: “É tempo di distruggere i sistemi che distruggono la terra”.

É stato molto bello ascoltare la voce dei ‘piccoli’, giunti da tutti gli angoli del nostro Stato; danzare al ritmo di festa delle quebradeiras de coco, con le musiche indigene o quilombolas, con i cantici creati dalle piccole comunitá rurali. Abbiamo celebrato intensamente grida di denuncia e sogni di vita. La celebrazione eucaristica é stata profonda, partecipata, carica di vita. Il cammino in marcia fino a Piquiá de Baixo, contesto simbolico dell’impatto socio-ambientale del ‘progresso’, ha intrecciato la denuncia profetica di un sistema che umilia i poveri e la speranza di comunitá che malgrado tutto non abbandonano il cammino, a testa alta: “Sto vendo tutto, non me ne sto in silenzio perché io non sono muto” – cantavano i pellegrini di questa Romaria.

A tutti loro va il nostro profondo rigraziamento: abbiamo toccato con mano, insieme, che Gesú di Nazareth cammina e vive per le strade del Maranhão, a fianco di persone che sanno ció che vogliono e hanno diritto di essere ascoltate e rispettate.

La nostra fede si é rafforzata e l’unione delle diocesi e comunitá del Maranhão si é fatta ancor piú forte. Questa Romaria, come sempre abbiamo detto, non si limita ad un evento, ma si inserisce in un processo che viene da lontano e che ci invita, ora, a non tradire i sogni e le attese che abbiamo acceso nel cuore di tante comunitá, gruppi e persone.

Torniamo, amici, alle nostre case e comunitá. Questa fiamma che ci ha animati non si spenga, illumini la nostra resistenza quotidiana e torni a brillare piú e piú volte in incontri cosí ricchi ed intensi come quelli che abbiamo appena celebrato.

Con gratitudine salutiamo ogni romeiro e romeira. Che la nostalgia di nuovi incontri ci mantenga vivi e uniti in questo cammino con il Signore risorto!

domenica 3 luglio 2011

Quebradeiras de Côco

Um giorno intero all’ombra delle frasche di palma di babaçu, conversando con donne che si svegliano alle cinque e lavorano lá sotto fino a quando torna il buio.

Pochi giorni dopo, su un aereo all’incontro di decine di gruppi e movimenti che hanno parole chiare da dire sul futuro della nostra terra.

Che vita strana e ricca, quella che ci é donata! Missione é prima di tutto ascoltare, comprendere dal basso, sedersi e accettare di stare al ritmo della gente. Ogni tanto ci provo... e poi mi ritrovo a difendere le attese e denuncie della ‘nostra’ gente a livelli piú distanti, dove altri finiscono per decidere il futuro dei piccoli.

Le chiamano ‘Quebradeiras de Côco’, sono donne che raccolgono le piccole noci di babaçu dalle piantagioni spontanee e poi si siedono, pazienti, con un’ascia e un martello per spaccare il cocco e separare la nocciola (per un raffinato olio da cucina) ed il mesocarpo (ricchissimo di principi nutritivi). Non hanno terra, costrette a cercare spazi di sopravvivenza sempre piú limitati dalle monoculture di eucalipto. Le imprese bruciano tonnellate di legname geneticamente modificato per farne carbone; queste donne sminuzzano i frutti della madre terra fino a raccoglierne il midollo carico di vita. Nulla va perduto.

Il loro lavoro é rompere migliaia di noci ogni giorno. Spaccare in mille pezzetti il guscio perché emerga la vita in esso racchiusa.

Lo stesso accade nella costruzione del mondo nuovo che stiamo intuendo e tracciando a piccoli passi: c’é qualcosa di vivo sotto il guscio duro di questo mondo di morte e ingiustizia. Il mondo di oggi é gravido, ma qualcosa si deve rompere, in fretta, perché ricominci la vita e non ci facciamo inghiottire dal risucchio e dal degrado.

Apocalisse lo chiama ‘svelamento’: si rompono le acque di una nuova nascita. Questa rottura non viene da grandi rivoluzioni, ma, credo, dai semplici gesti ripetuti e ostinati dei piccoli, che non smettono di difendere le loro tradizioni, le radici fissate nella terra, la fede negli spazi e nei gesti che hanno imparato dai padri e vogliono insegnare ai figli.

Se sapremo difendere l’iniziativa delle piccole comunitá, l’agricoltura familiare, i diritti dei gruppi indigeni e quilombolas, il lavoro e l’arte delle quebradeiras de côco, staremo rompendo con gesti essenziali ed efficaci il guscio dei vecchi meccanismi di schiavitú e saccheggio, che oggi sono chiamati sviluppo e progresso. Non significa negare il futuro, ma restituirlo nelle mani e al tempo dei piccoli.

Dio danza al ritmo del martello dei poveri, che rompe il guscio delle noci e dell’esclusione. Ci sediamo e balliamo con loro, o preferiamo suonare la musica di altre orchestre?

giovedì 9 giugno 2011

Dieci anni

Oggi sono padre da dieci anni.
Ringrazio molto Dio, che in tutto questo tempo mi ha protetto e non ha permesso che mi perdessi. Rimetto le mani tra quelle del vescovo che mi ha ordinato, perche in lui mi riconosco molto e, un pochino, di lui mi sento figlio: Carlo Maria Martini.

Voglio scrivere una intuizione che la preghiera mi ha dato oggi, soprattutto perché risuoni dentro di me, passo a passo, nei prossimi dieci e piú anni!

Oggi sto bene, sono contento, mi sento appoggiato e stimolato nelle nostre attivitá, che per fortuna ci ravvivano e provocano continuamente.
Allo stesso tempo, mi ripeto tutti i giorni che non posso inebriarmi per la dinamica e le sfide pressanti che mi stanno muovendo in questo tempo.

Mi accorgo, a volte, di quanto la vita sia fragile e quanto, sotto tutto questo impegno pratico, debba esserci un appoggio solido e sicuro.
A volte temo di trovarmi all'improvviso senza riferimenti e motivi per cui lottare... e sentirmi solo e nudo.

In questo giorni dei dieci anni, stavo riflettendo che si fa necessario un passaggio, che chiamo 'da Mosé a Giovanni'.
Il Vangelo di oggi offre un versetto, Gv 17,26, in cui si parla di "Conoscere il nome di Dio".
Quando Mosé chiedeva di conoscere questo nome, era in funzione della missione che sentiva imminente: 'dimmi chi sei, perché in tuo nome possa presentarmi al Faraone e liberare il mio popolo!'.
Giovanni chiede una cosa diversa: 'dimmi chi sei, perché l'amore con cui hai amato Gesú rimanga anche in me'.

Chiaro che non si tratta di alternative in conflitto. Ma sento il bisogno di migrare, in questi prossimi dieci anni, un po' di piú da Mosé a Giovanni, per non trovarmi, all'improvviso, nudo e senza fondamento (che é questo amore).

venerdì 22 aprile 2011

Frammenti di resurrezione

Ogni giorno la nostra comunitá missionaria cerca segni di resurrezione, dispersi tra i frammenti di molte battaglie, parecchie sconfitte ed un certo senso di impotenza.
Gli stessi discepoli hanno avuto bisogno di molto tempo per comprendere ed assumere la resurrezione di Gesú: é stato necessario raccogliere una buona serie di indizi e testimonianze chiare.
Mi sono chiesto: in questo anno, che testimonianza di resurrezione puó dare la nostra comunitá? Abbiamo qualche parola di speranza, un messaggio concreto e fecondo da condividere?

Il nostro modo di testimoniare la resurrezione dipende molto dal tipo di morte che stiamo sperimentando. La peggiore é la morte del sogno collettivo, sconfitto dall’interesse istantaneo di piccoli vantaggi individuali.
É morte politica di chi desiste da uno sguardo piú profondo ed ampio e si lascia comprare o convincere da soluzioni immediate e a buon prezzo, convenienti solo per un momento.

In questa regione giunsero, quasi contemporaneamente, imprese ricche, voraci e determinate ad investire nelle risorse della nostra terra; fu difficile, per la gente, resistere alla tentazione di poche ‘perline colorate’ que promettevano d’immediato.
E cosí industrie minerarie, di cellulosa e grandi investimenti in idroelettriche ed allagamenti provocarono forti impatti, con il ‘rattoppo’ di pochi progetti d’investimento sociale, puntuali e discontinui.

É resurrezione, quindi, tutte le volte che esiste una ribellione contro questa dipendenza e, malgrado sproporzionata, la voce delle comunitá si alza per garantirne diritti e sogni. Con una immagine biblica, é resurrezione tutte le volte che troviamo una di quelle cinque pietre che hanno permesso al piccolo Davide di sconfiggere (o perlomeno intontire) il gigante Golia.
Se questo si ripetesse varie volte, i ‘giganti’ di oggi si accorgerebbero poco a poco che non si possono calpestare i territori delle comunitá senza una seria ed effettiva interazione con le popolazioni che vi abitano.

Cinque pietre, dicevamo:

- una é stata la nostra recente partecipazione all’assemblea degli azionisti dell’impresa mineraria Vale, in minoranza rappresentando le comunitá piú colpite dalle sue operazioni. Nel cuore della logica incondizionale del guadagno, si sta sollevando sempre piú forte la voce di chi denuncia l’impatto socio-ambientale ed esige rispetto per i piccoli;

- un’altra sará la ‘Romaria da Terra e das Águas’, incontro di preghiera e pellegrinaggio che raccoglierá nella nostra cittá di Açailândia in settembre comunitá cristiane del Maranhão intero: migliaia di persone, segno di una chiesa vigilante e coraggiosa, che viene a criticare un modello di sviluppo a senso unico, per il quale il guadagno é privato ma gli impatti pubblici;

- un’altra é la missione di maggio, in Maranhão, della Federazione Internazionale dei Diritti Umani, che ha studiato gli effetti nefasti di Vale in due casi emblematici della nostra regione ed appoggia le rivendicazioni della gente: prioritá assoluta e condizione primaria di un reale sviluppo é il diritto alla vita, alla salute e ad una abitazione dignitosa;

- ancora una la troviamo nei vari momenti di articolazione delle comunitá vittime di queste violazioni: si sta rafforzando una rete di gruppi e piccole comunitá che scambiano esperienze, strategie, appoggi e solidarietá. Le imprese tendono a dividere la gente per indebolirla, ma questo dialogo tra i movimenti rafforza la resistenza;

-una ultima é il successo di alcune azioni giuridiche o popolari che finalmente obbligano le imprese ed il governo a rispettare gli interessi della gente: lo sciopero dei lavoratori delle siderurgiche e degli abitanti vittime dell’inquinamento, l’indennizzazione della famiglia di una persona travolta dal treno che trasporta il minerale per l’esportazione, la condanna di Vale ad indenizzare quasi 800 famiglie tradizionali (quilombolas) a causa del conflitto per un minerodotto...

Sono questi i nostri picoli frammenti di resurrezione; li aggiungiamo umilmente agli altri che voi, che state leggendo, potrete incollare nel mosaico della vita dei figli di Dio, piú forte della morte che si vuole installare in mezzo a noi!

venerdì 4 febbraio 2011

Povera Açailândia ricca!

Nei mesi scorsi la nostra cittá di Açailândia, nel cuore del Maranhão, brillava di orgoglio: un’importante rivista nazionale la indicava come una delle sei cittá del Brasile che stanno crescendo di piú e promettendo per il futuro.

Settimana scorsa, una seguitissima trasmissione televisiva della domenica sera offriva al Brasile intero un altro volto del Maranhão: violento, impune, in ritardo con la storia.
In distacco, la condizione vergognosa dei carcerati, trattati come animali.

Açailândia brillava di nuovo, questa volta di una luce fosca: un bambino scomparso da piú di un anno, senza un’investigazione seria, e la disperazione di sua madre; un fazendeiro sospettato di due omicidi, da mesi ricercato dalla polizia e denunciato dai movimenti sociali della cittá, eppure ancora libero e impune.

Chi osserva da fuori potrebbe non comprendere questo contrasto: Açailândia é sinonimo di splendide promesse di futuro e sviluppo... o di ingiustizia e violenza all’ordine del giorno?

In realtá, si tratta di una convivenza necessaria, che conferma l’origine e la protezione della ricchezza di questa cittá. Il cosiddetto progresso e l’accumulo di beni, qui, si sono imposti a partire da una violenza strutturale.

In molti casi, si é arricchito chi ha devastato la foresta, ha occupato illegalmente la terra, ha fatto uso di ‘lavoro schiavo’, ha evaso le tasse e ha corrotto.

Ancor oggi, perlomeno qui, il potere dei ‘ricchi’ é garantito da una giustizia selettiva, che protegge con rigore e in modo agile il diritto alle grandi proprietá, ma é molto piú tollerante con quelli che torturano, schiavizzano o mandano a uccidere.

Siamo missionari e difensori dei diritti umani; se siamo qui é per assumere una posizione contro il silenzio imposto, contro l’alleanza del potere economico e politico, che in molti casi controlla la nostra regione e anche la stessa legge.

Fino a quando la giustizia resterá ostaggio di chi ha piú potere?
Fino a quando il mito del progresso prometterá futuro per poche persone, schiacciando la testa di molti altri, ridotti al silenzio dalla paura o dalla necessitá di sopravvivere?

Le leggi sono fatte perché le rispettino i poveri.

Le leggi sono fatte dai ricchi per mettere un po’ d’ordine allo sfruttamento.

I poveri sono gli unici che rispettano le leggi della storia.

Quando i poveri faranno le leggi

non ci saranno piú ricchi.

(Roque Dalton)