mercoledì 25 febbraio 2009

Açailândia-Piquiá: perché tutto abbia vita


Quale missione alla frontiera ambientale?

Stiamo attraversando un tempo di crisi che dall'economia risale fino ad intaccare il nostro modello di vita, di produzione e scambio, di convivenza tra le culture e di visione del mondo, dell'umanità e di Dio. Nel mezzo di questa confusione feconda e provocante, anche i missionari comboniani si stanno facendo molte domande sul loro futuro e sulle priorità della missione.

Dal piccolo della nostra comunità, inserita nel cuore di gravi conflitti socio-ambientali, raccontiamo un'esperienza che insiste su nuove frontiere missionarie.
Come tutti i missionari, veniamo da lontano, sia nello spazio che nel tempo: il nostro gruppo raccoglie e continua l'esperienza di vent'anni di cammino di altri fratelli che hanno speso la loro vita alle porte di questa Amazzonia del Maranhão.

1. Leggere i segni dei tempi e scegliere il posto giusto come missionari

La comunità comboniana di Açailândia nasce nel 1991 accompagnando i lavoratori migranti di tutto il Maranhão verso uno dei poli siderurgici costruiti in quegli anni lungo la ferrovia di Carajás. Spicca fin da quel momento la vocazione itinerante dei missionari: scegliere il luogo in cui la vita ha più bisogno di essere riaffermata e protetta, e inseguire la gente in cerca di dignità. È su queste strade che Dio ci aspetta.
Dopo una decina d'anni, sorge la necessità di dividere in due la comunità per andare a vivere nel quartiere operaio. Ancora una volta, la realtà parla più forte dei principi o della tradizione: nasce la comunità di Piquiá, che vive sulla pelle le contraddizioni del quartiere-dormitorio e la fatica delle famiglie degli operai e dei disoccupati. Intanto, l'altra metà della comunità rimasta più vicina al centro cittadino aveva già fondato insieme ad alcuni laici il centro di Difesa della Vita e dei Diritti Umani, oggi alleato competente e prezioso nella formazione politica popolare e nel controllo delle politiche pubbliche locali. Attualmente le due comunità continuano con attività decentrate ma con una forte ricerca del consenso e della fraternità.

Dopo 16 anni, però, una rilettura del contesto ci stimola a riorientare la nostra missione, ridefinendo il contesto territoriale lungo tutto il corridoio di Carajás. È la sfera di influenza della più grande multinazionale dell’estrazione del ferro (Vale), contesto minimo in cui poter comprendere e assumere una strategia di trasformazione della realtà. Questa volta si rompe la rigidità dei confini e dei territori di appartenenza, di riferimento (preoccupazione tipicamente parrocchiale).
La comunità sente la sfida di una parziale itineranza, per risvegliare e formare líderes di “comunità di giustizia ambientale”: comunità dove si proponga un modello di sviluppo rispettoso dei ritmi e delle risorse della terra e della gente (celebrazione della vita e del lavoro di ogni giorno, agricoltura familiare, piccola produzione, gestione forestale, controllo delle attività delle grandi imprese, etc).

Per fortuna, la coordinazione del gruppo comboniano presente nel Brasil Nordeste ha una linea chiara che ribadisce con decisione la priorità di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, liberando così la creatività e la passione di chi, inserito nel cuore delle contraddizioni, si sente costantemente provocato e desidera aprire cammini nuovi.

2. Il senso del nostro stare qui
Ci troviamo al ‘Portal da Amazônia’: sulla porta d’ingresso dell’Amazzonia, porta che in molti desiderano chiudere lasciando alle spalle identità territoriale, appartenenza culturale e biologica al ricchissimo sistema forestale, fatto di gente, di terra e di acqua, di vita pulsante.

Siamo sulla frontiera: qui la chiamano ‘arco do desmatamento’, la grande mezzaluna della devastazione che si addentra ogni anno più a nord, cancellando un semicerchio alla volta quello che la vita ha intessuto per millenni.

Dietro di noi una identità territoriale che sta scomparendo, davanti a noi la paura che tutto si replichi anno dopo anno senza controllo. Stare qui, nel bel mezzo tra il passato e il futuro, è per scavare trincee di resistenza, arginare la sete di sviluppo a costo della vita degli altri, cicatrizzare le ferite da cui il sangue e le risorse vengono quotidianamente succhiate.

Un angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente gridò a gran voce: «Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio» (Ap 7)

Vidi un nuovo cielo e una nuova terra. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21)

3. Che tipo di missionario?
Per vivere e lavorare in questa linea, prima di tutto non basta un individuo, occorre una comunità missionaria: una presenza di questo tipo richiede continuità negli anni, affinità con le scelte e la linea della gente, pluralità di intervento nelle diverse sfere della vita del popolo: tutto questo non può essere assunto da una sola persona, riesce a stare in piedi solo se è una scelta e una prassi comunitaria continuamente rinnovata e calibrata.

In questo momento abbiamo il dono di una comunità del genere e stiamo cercando di investire tutte le nostre forze per renderla sempre più consapevole del suo ruolo: ci spetta una analisi seria e costantemente aggiornata degli interessi e dei conflitti che regolano la vita della regione (interessi economici, progetti di investimento, alleanze e prospettive politiche, conflitti regionali o etnici, eredità storica, religiosa e culturale, etc).

Il nostro sforzo maggiore vuole essere costruire altre comunità cristiane, fondate sulla stessa lettura della Parola e della storia. Per questo insistiamo molto sulla formazione di base e di líderes e sulla comunicazione alternativa.

4. Come stiamo agendo?

Vogliamo investire nella educazione popolare, decentrata, individuando persone di riferimento nelle varie comunità lungo il corridoio di Carajás. Questo comporta itineranza e strumenti efficaci di comunicazione. Stiamo strutturando un nucleo di comunicazione preparando giovani competenti in radiofonia, giornalismo, redazione di siti web.
Abbiamo definito priorità ecclesiali chiare (partecipazione politica, ministerialità, comunicazione e difesa ambientale). Grazie a questo, le comunità sono stimolate ad assumere le loro scelte e a sviluppare l'interpretazione biblica progressivamente alla luce di queste priorità.
Stiamo costruendo una rete di contatti regionali per rafforzare le persone e i piccoli gruppi che lottano per gli stessi obiettivi, in contesti simili ma frammentati e divisi dagli interessi privati.
Ad un livello più ampio, si tesse anche una rete internazionale per aiutare la gente a comprendere quanto la loro situazione è frutto di un modello perverso di sviluppo, diffuso a livello mondiale.
Da fine 2007 (e con un forte rilancio al Forum Sociale Mondiale di Belém) la campagna “Justiça nos Trilhos” (Sui binari della giustizia) articola questa rete di contatti e si pone obiettivi molto concreti nel controllo socio-ambientale della più grande multinazionale del ferro al mondo (Vale do Rio Doce). La campagna, iniziata dai comboniani, ora raccoglie l'adesione diretta di alcune diocesi locali, università, movimenti e reti di giustizia ambientale, sindacati, avvocati e associazioni di magistrati, giornalisti e associazioni di difesa dei diritti umani. La libertà e l'autorità morale che abbiamo, come missionari, ci permettono e impongono di assumere in prima persona la battaglia: una volta schierati con serietà e questa rete di collaboratori competenti, firmiamo l'impegno a partecipare alla causa per molti anni a venire...
E così la comunità comboniana si trova a vivere con un piede ben saldo sul suolo della nostra gente di Açailândia, rafforzando le comunità cristiane di base e il legame affettivo con le famiglie; l'altro piede, però, si sposta continuamente in cerca di alleanze, per rafforzare il peso politico delle nostre rivendicazioni, denunciare le situazioni poco umane del nostro territorio e divulgare 'aternativa possibile.

5. Qual è la base teologico-pastorale che ci sostiene?

  • Spiritualità ecologica

All'origine di molte nostre vocazioni forse c'è quel versetto-chiave del libro dell'Esodo (3,7): “Ho udito il grido del mio popolo. Per questo sono sceso, per liberarlo”. Le nostre scelte missionarie sono orientate da questo grido, un desiderio di inserzione e liberazione.

Ma oggi, forte tanto quanto il grido del popolo, ci angustia il silenzio assordante della vita che non c'è più. Contesti ambientali completamente distrutti, equilibri di vita saltati, deserti di monoculture al posto di ecosistemi ben integrati con il lavoro dei piccoli produttori, progetti minerari che succhiano le viscere della terra e dei popoli che vi abitano...

L'anello più debole della catena è il primo ad essere schiacciato; quando la vittima non ha voce, tutto sembra meno grave e violento. L'ambiente soffre questa discriminazione senza poter alzare la voce (oppure tutta in una volta, nei disastri naturali).
Per questo, occorre completare il passaggio dell'Esodo: “Ho udito un silenzio preoccupante, innaturale. Per questo sono sceso, per restituire voce e vita a questa terra ferita”.

La natura geme e soffre in attesa di questo nuovo parto. Chi ha uno spirito missionario soffre con lei. E lo stesso Spirito di Dio, che continua a soffiare sulla grande confusione e violenza di oggi, soffre con noi nel desiderio intenso di nuovi cieli e nuova terra.

  • Religione: una ‘visione nuova’

La maggioranza dei miti della creazione nacquero in epoche di conflitto sociale, come tentativi di giustificare gli squilibri della storia. Vivendo in tempo di conflitto, l'umanità giudicava che esso fosse il riflesso di dinamiche violente nel cielo (conflitto tra divinità). La cosmogonia di molte culture nacque proprio da questa interpretazione distorta iniziale. Il mondo è violento perché gli dei sono violenti, o, quanto meno, sanno “farsi rispettare”!

Le relazioni tra tutte le creature continuarono ad essere regolate da questo modello. Cos’è che ha valore e si afferma? La persona e il sistema che riescano ad imporre un ordine violento, mettendo fine in questo modo ad ogni conflitto.
Si tratta della teologia e sociologia della forza, di relazioni dualiste e androcentriche, della competizione e della lotta per la sopravvivenza. La stessa natura, nelle sue regole più elementari di selezione naturale, conferma questo schema.

Anche diversi passaggi della storia della religione cristiana rafforzano questa lettura: si afferma un ‘Dio’ forte, controllore, Padre-Patriarca, ordinatore del cosmo, dal quale non si può fuggire (e che punisce e corregge con fermezza chi disobbedisce all’ordine stabilito).

Al servizio di questo ‘Dio’ esiste una casta privilegiata di funzionari scelti (sacerdoti, spesso appartenenti alla stessa etnia o allo stesso gruppo). Un sistema ben articolato organizza tutta la società secondo questa gerarchia divina immutabile: chi è nato per essere servo rimarrà servo, obbediente ad ogni regola indicata da ‘Dio’.
Consideriamo che il termine ‘gerarchia’ deriva dalla parola greca hieròs, che significa ‘santo’. Il sistema di potere e le relazioni di autorità e obbedienza si impongono automaticamente come derivate da ‘Dio’ e con la sua benedizione.

Questa struttura politico-economica, con una forte influenza religioso-culturale, ha avuto fin dall’inizio un impatto violento anche in ambito ecologico: il sistema di sacrifici permanenti prevedeva un saccheggio consistente delle risorse del popolo e della natura (Ne 10).
Il consumo annuale di legna era enorme, per consentire ogni giorno l’olocausto (termine che letteralmente significa 'bruciare tutto'). Il sistema di sacrificio era basato sul concetto di sangue e fuoco come elementi di espiazione e di purificazione: per ottenere perdono dal 'Dio' che mette ordine nella società occorreva lo spargimento di sangue delle vittime sacrificali, bruciando in seguito i loro corpi.

Non è questa la religione gradita al Signore!
Nel libro della Genesi, in modo affascinante, Dio parla al plurale: "Facciamo l'essere umano".
E questo Dio plurale creò (crearono) l'uomo e la donna, per completarsi, perché nessuno da solo basta a se stesso. Fin dalla creazione è stato innestato in noi il principio di responsabilità reciproca. 

Pertanto, è tempo di un'alleanza delle comunitá e delle religioni, per prenderci cura della casa di tutti. É tempo di guardare al mondo come un’unica "Comunità di vita" chiamata a "sostenere la vita".

La stessa parola “Religione” viene dal latino re-ligare ed in sé è ambigua. Puó imprigionare, se come obiettivo vuole garantire la sicurezza del culto e della dottrina, della gerarchia rigida di persone, valori e norme. Ma apre orizzonti smisurati e nuovi se viene intesa come la rete invisibile dei legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, una nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore, e la missione si fa interprete nuova di questo suo eterno dialogo con la creazione.

lunedì 2 febbraio 2009

Cinque presidenti al FSM


Maria das Graças, indigena ecuadorena, li ha salutati com parole chiare, mostrando tutte le aspettative che i popoli originari ripongono in loro, dopo anni di sofferenza e esclusione: “non perseguitateteci piú! Rispettateteci, vi chiedo solo questo, nulla in piú”.
Graça, una delle coordinatrici del FSM, ha continuato con la stessa decisione, denunciando il pericolo di cedere definitivamente al modello di sviluppo divoratore della gente e della natura: “assistiamo a un forte disimpegno delle istituzioni rispetto alle risorse naturali e al futuro delle nostre popolazioni. La deforestazione sta distruggendo anche le nostre popolazioni, specialmente i popoli originari”.
Ma lo spazio alla critica non é stato molto (tra le diecimila persone del pubblico un buon gruppo, a quanto sembra, é stato intrufolato per appoggiare Lula e evitare i fischi e le contestazioni del'ultimo FSM di Porto Alegre).
In ogni caso, l'appoggio attuale al presidente brasiliano é molto ampio, e innegabilmente ci troviamo di fronte a uma nuova tappa della storia politica dell'America Latina.

Un tornitore meccanico, un vescovo della liberazione, un índio (“con la faccia di índio”, risalta Lula), un giovane economista e un soldato giá imprigionato per un precedente tentativo di colpo di stato e poi scelto e apoggiato dalla gente: Lula, Fernando Lugo, Evo Morales, Rafael Correa e Hugo Chavez riuniti allo stesso tavolo parlando ai delegati del FSM.

La congiuntura é nuova e puó aprire alla speranza; tutti gli interventi sottolineano che questa tappa della storia latinoamericana é stata costruita da tempo, viene da lontano e si fonda sulla lotta popolare per la democrazia. “Sono frutto della vostra lotta contro il neoliberismo”, dice Morales; “Siamo riflesso di ció per cui il popolo ha lottato. Una America indigena, meticcia, negra: dopo secoli, sta diventando realtá”, aggiunge Correa.

I popoli boliviano e ecuatoriano celebrano in questo passaggio storico le loro nuove costituzioni (quella boliviana é stata approvata dal 60% del Paese proprio domenica scorsa): una Carta dei Diritti dei popoli indigeni nella prospettiva di ricostruire la Pachamama, la Grande Madre latinoamericana.

Tutti i presidenti richiamano all'urgenza e alla possibilitá storica di integrare i popoli dell'America Latina. Correa sottolinea che si tratta di “una necessitá di sopravvivenza” e chiede che si acceleri il processo per la creazione del Banco del Sur. Inoltre critica la Organizaciòn dos Estados Americanos (OEA), ancora molto dipendendente da Washington, e rilancia l'idea di una autogestione latinoamericana, includendo finalmente “nuestra hermana Cuba”.

Non mancano le difficoltá e gli intoppi diplomatici, come il caso della potentissima centrale idroelettrica di Itaipu, i cui proventi attualmente sono strappati dal Brasile al Paraguai: Lugo non evita di citare il problema, dicendosi molto ottimista per uma soluzione, che porterebbe sviluppo e ricchezza al suo popolo paraguaio.
L'ex vescovo cattolico sottolinea che l'America Latina é ricchissima di risorse e potenzialitá, deve solo trovare l'orgoglio e la capacitá tecnica di gestirle in autonomia.
É forte la ribellione contro il neoliberismo e l'imperialismo statunitense, e Lula ripone molte attese anche sul “negro Obama, figlio di uma terra che solo 40 anni fa ha assassinato Martin Luther King”.
Piú di un presidente fa cenno al “socialismo del secolo XXI”: Chavez specifica che non ha piú senso il cliché “capitalismo=efficienza, socialismo=giustizia”. “Siamo capaci di costruire un socialismo giusto e efficiente, com un ruolo equilibrato dello stato, un'attenzione specifica all'ambiente e la scelta di un modello di sviluppo responsabile e sostenibile”, rafforza Correa, che fa molti richiami alla Dottrina Sociale della Chiesa ma grida il suo dolore nel considerare che é proprio il continente piú cattolico ad essere il piú disuguale del mondo. “Il gesto piú comune di Gesú, in molti momenti della sua vita, é stato spezzare il pane. Possibile che noi qui non riusciamo a spezzare e ripartire le nostre risorse per tutti?”

Morales dá le prospettive e la sfida per il futuro: “Dobbiamo assumere uma nuova tappa di integrazione dei nostri paesi, contro l'intrusione e la cospirazione degli Stati Uniti”. Propone quattro campagne, quattro aree di lavoro:

  • una campagna mondiale per la pace e la giustizia (richiama specialmente la Palestina, l'Afganistan e l'Iraq, trascurando anche lui le guerre dimenticate di molti paesi africani). Esige uma riforma radicale dell'ONU.

  • una campagna per un nuovo ordine economico internazionale; esige una riforma radicale di BM e FMI e chiede che l'indicatore di sviluppo non sia piú il PIL, ma l'indice di suddivisione della ricchezza.

  • una campagna per salvare il Pianeta, mutando i modelli di consumo

  • una campagna per la dignitá umana contro il consumismo: valorizzare l'umanitá, seppellire il capitalismo. Un simbolo per questo lavoro di riscatto delle culture popolari e contro il consumo della gente potrebbe essere, per Morales, la foglia di coca: per i popoli indigeni é alimento, fonte di vita; non possiamo lasciare che diventi, come tutto il resto del mondo di consumo, sostanza stupefacente e distruttrice delle persone.


FSM: contraddizioni e risposte


Ogni forum mondiale é uno spazio di contraddizioni: ci trovi di tutto e di piú.
Anche il Forum Mondiale di Teologia e Liberazione há messo in luce contrasti e paradossi; ne consideriamo due.
Un conflitto evidente, nella mente e nella pratica di alcuni, é tra la teologia e prassi della liberazione e l'analisi ecologica, la difesa della vita e dell'ambiente.
Ad alcuni pare che la teologia della liberazione debba occuparsi semplicemente dei poveri, del conflitto di classe, dell'opzione per gli ultimi. Pensare all'ambiente sarebbe sviarsi, distrarsi dalla lotta, tradire la gente. Invece non esiste nessun contrasto, al contrario, uma profonda connessione tra due vittime: uomini e donne messi ai margini, che gridano la loro rivolta, e l'ambiente messo in ginocchio, soffocato in silenzio. Li troviamo insieme, vittime dello stesso sistema.
Chi soffre per gli irresponsabili megaimprendimenti industriali nel sud del mondo é l'ambiente e la gente povera delle periferie, su cui ricade inquinamento e tutte le conseguenze degli equilibri ambientali stravolti. L'alleanza tra queste due vertenti (il grido dei poveri e il silenzio soffocato della natura in agonia) é il nuovo orizzonte per la liberazione integrale della Vita. Segue i percorsi del socio-ambientalismo.

Ma un altro grande constrasto emerge dalla critica alla teologia della liberazione: dicono che le comunitá di base latinoamericane si occupino troppo del 'sociale' (come se fosse possibile distinguere la convivenza sociale da ogni altra sfera esistenziale, emotiva, spirituale...). Dicono che sia troppo 'orizzontale' e si dimentichi del mistero, di Dio, si fermi al presente e perda la trascendenza. Peró la violenza ambientale e il grido soffocato della Vita che ci scappa dalle mani sono per ogni credente un profondo richiamo ad allargare e approfondire i suoi orizzonti. Noi che assumiamo la sfida dei poveri e della difesa del creato facciamo la scelta di una sorta di 'ecologia della mente'.
Entriamo in una logica molto piú ampia di noi stessi; sentiamo che ci muoviamo e siamo dentro un universo ben piú grande. Relativizziamo le nostre dimensioni e ci includiamo nel ciclo vitale universale: oltre a me e a noi, c'é l'umanitá, ci sono altre creature vive, c'é il nostro pianeta, c'é l'universo intero...
Al contrario, chi si chiude in sfere di spiritualitá isolate si rintuzzisce e spegne. Chi sente il pulsare della vita e si batte per rianimarla amplifica i suoi sensi e percepisce che anche Dio palpita nella storia.
Avanti, dunque, articolando resistenza e alternative coraggiose a chi si fa beffe del creato, riduce la vita al profitto, allo sfruttamento intensivo della terra, allo spasimo di succhiare tempo e risorse, competere per crescere e crescere, piú in alto di tutti!

La parola 'Religione' viene dal latino re-ligare. Tocca a te scegliere: ti imprigioni se ti leghi all'illusione che il culto e la dottrina sono il senso della vita. Si spalanca il mondo davanti a te se scegli la religione per seguire i legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, uma nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore.