mercoledì 20 febbraio 2008

Passione di Dio e nostra


La passione non é solo un momento particolare dell’anno, una settimana santa che miracolosamente si risolve all’arrivo della Pasqua. La passione è un atteggiamento del cuore.

La pagina più bella del Vangelo che parla di passione è il racconto della donna che entra, con tremore e coraggio, nella sala di uomini seduti a tavola e rompe il vaso con essenza profumata, per ungere Gesù di Nazareth.

La passione di questa donna è più forte di qualsiasi regola, rompe i preconcetti e la paura, non si interessa del giudizio degli altri. Non calcola le spese e non riserva nulla per sé.

Questa icona é simbolo del miracolo più bello della vita: quando un bambino nasce, la donna ‘si rompe dentro’ per donare la luce a una nuova persona.
Frutto della passione-amore, il miracolo della vita esige passione-sofferenza per realizzarsi.

Passione di amore e di sofferenza: non si può distinguere. La creazione geme e soffre le doglie di un parto, perché spunti una vita nuova. Anche Dio soffre ogni giorno, assumendo lo sforzo dell’umanità per difendere la vita.

Donatella, amica che vive da anni a Betlemme nel cuore della violenza imposta al popolo Palestinese, sente questa sofferenza sulla pelle.
A Betlemme Dio continua a soffrire i dolori del parto, tentando di rinascere “nella tristezza di una notte scura, nelle lacrime dei bambini, nelle finestre chiuse per paura, nella pace che non arriva, nelle vittime di ieri, di oggi e di domani”.

Donatella é una delle ‘levatrici’ di quella terra (in Brasile ‘parteiras’): condivide la passione di Dio per far nascere la vita ogni giorno. Per lei, passione significa non dimenticare: “voglio mantenere gli occhi spalancati su questo mondo cosí umano, fatto di penombra e di notti, di amore e di conflitti, di grida e di sorrisi, di lacrime e di dolcezza”.

Essere ‘parteiros’ della vita che ancora non è nata: è questa la nostra passione missionaria! La vita non ci arriva gratis… È un dono di Dio, certo, ma Lui stesso soffre e lotta perché la vita sbocci, sia protetta e si realizzi in pienezza.

Molte volte, nelle contraddizioni violente di questo Brasile, sento il peso della vita che fatica a nascere. Ci sono giorni più sereni, altri che sembrano vicoli ciechi… L’importante secondo me, come dice Donatella, è non permettersi di dimenticare. Caricare permanentemente con noi le attese e le sofferenze di molti, ospitare dentro la nostra esistenza l’esistenza di molti altri. Smettere di vivere da soli.

Quando celebriamo la passione di Dio, facendo memoria nella Messa, ricordiamo sempre l’Agnello di Dio che ‘toglie’ il peccato del mondo. Ma l’espressione esatta sarebbe “Agnello di Dio, che ti fai carico del peccato del mondo…”
La passione di Dio è così: farsi carico delle speranze e del dolore di un mondo che fatica a nascere veramente.

Questa passione non si risolve con la bacchetta magica del giorno di Pasqua. Al contrario, il nostro tempo è come un sabato permanente di attesa, una lunga veglia che si pone tra le ferite mortali del venerdí santo e le prime luci del Nuovo Giorno. Tra l’amore e la sofferenza, tra la sconfitta e la resurrezione.
Questa ricerca, equilibrio instabile con Dio, mi sfida… e mi appassiona!

domenica 10 febbraio 2008

Sette giorni dopo sette anni

Torno a São Paulo per una visita molto breve: in sette giorni cerco di recuperare quello che hanno vissuto molti amici negli ultimi sette anni che ci hanno tenuti distanti.
Prima di tutto cerco i ‘miei’ adolescenti, quelli che accompagnavo passo passo entrando e uscendo dal carcere minorile, dalla favela, da famiglie disastrate che –chissá come- riuscivano comunque a resistere.
E cercando loro cerco me stesso, il senso di tutto il sudore speso in quegli anni frenetici… Cerco un po’ di speranza, qualche segnale di vita, qualcosa che mi dica: “ha senso, continuate cosí”.
Cerco il senso di proporre la chiesa oggi, il modo di vivere il Vangelo, i luoghi dove Dio abita.

Ma non ho il coraggio, in certi casi, di cercare fino in fondo. I primi amici che tento di rintracciare non si trovano, appaiono solo alcuni, mi raccontano degli altri: tornati in carcere... oppure uccisi dalla polizia o dalle gangues locali.
Rintraccio Fabiana per consolarla: hanno seviziato e ucciso suo marito, papá del piccolo Kauan. Deve averla fatta grossa al Primeiro Comando da Capital, la fortissima mafia locale. Loro non perdonano, e l´esecuzione deve essere esemplare, cosí che tutti imparino.
Mi dicono che in questi ultimi anni la situazione é piú calma: si muore lentamente, perché il PCC non lascia che gli adolescenti si uccidano tra loro in favela (niente confusione quando facciamo affari!). É piú comodo che muoiano lentamente, bruciandosi il cervello con il nuovo e economico modello di droga in circolazione: si chiama lança-perfume, é una pasticca che evapora nell´aria, la metti in una lattina vuota e la respiri, arriva dritta ai neuroni.
Il traffico é sempre piú in mano ai bambini: é comodo e sicuro, la polizia non puó fargli molto.
É urgente, da decenni é urgente investire nelle periferie con una politica pubblica seria: lavoro, educazione di qualitá, salute...
Alcune famiglie, che conosco da dieci anni, non sono cambiate per niente. Dona Ana ora ha 14 figli (altri sono morti), Fernanda e Cidinha sono partite per vivere con trafficanti 'pesanti', due piccoli sono in carcere... ma piú di tutti mi impressiona Fernando: in un momento delicato della famiglia aveva tentato di assumere le redini e accompagnare i fratelli, ma presto é scoppiato e, dentro il conflitto persistente di questa vita, non ce l'ha piú fatta. Si é dato fuoco, davanti alla sua compagna... e poi é morto lentamente, in quindici giorni di agonia in ospedale.
Il Cantico dei Cantici dice che l'amore é piú forte della morte, ma in queste strade molti giovani hanno perso il ricordo dell'amore. A dar senso alla vita, allora, resta solo il potere, che é il secondo alimento per chi é in cerca di senso. Nei nostri quartieri si riconosce il potere di chi controlla, guadagna in fretta o uccide nella maniera piú barbara.

Ringrazio Eduardo: da piccolo ha visto morire il fratello (e una pallottola tra le tante aveva raggiunto anche lui, alla mascella)... ma dopo questi anni ha rialzato la testa, lavora, si é innamorato, ha comprato una moto...
Ringrazio André: ancora crede nei giovani e si é immerso in mille attivitá. Era adolescente, dice che ha imparato da noi...
Ringrazio dona Neta: con un marito alcolizzato, un figlio in carcere per droga e due piccoli in pericolo, non ha mai smesso di resistere... e ancora vive!

La Parola di questi giorni invita a 'mettere al centro' chi ha la mano inaridita, e per questo non puó accogliere, non riesce a lavorare, non si sente degno nemmeno di ricevere.
La nostra é una vita missionaria che riesce appena a camminare attraverso queste storie. Ha senso solo se mettiamo al centro questa gente. Davanti a noi, davanti alla chiesa, come sfida, grido, denuncia, spavento.
La stessa Parola di questi giorni smonta il sabato e i farisei... accusa una certa chiesa ripiegata sulle emozioni e sicura della sua dottrina. Abbiamo un bisogno incredibile di persone che facciano respirare la nostra chiesa e tornino a raccontare il vangelo nell'incertezza dei piccoli.
Non ci interessa difendere spazi, diritti acquisiti, tradizioni o la nostra autoritá. Non ci interessa affermare chi ha piú ragione, chi conosce la veritá, chi si salverá dopo...
Ci interessa capire cosa voleva dire il Padre con la vita di quel Gesú che camminava in Galilea... e cercarlo di nuovo oggi, risorto nelle persone che non si scoraggiano, che seminano la vita con ostinazione, che si fanno mille domande e le incarnano ritentando ogni giorno.
Ci interessa stringere alleanze con persone che credono cosí... perché quello che ci uccide oggi é l'isolamento, la solitudine che scoraggia, il 'mondo' che va da un'altra parte e la corrente che é sempre piú forte, difficile da risalire...
“Vi ho chiamati amici”. Tornando a São Paulo ho cercato e ritrovato questi amici, che insieme credono, lottano, vivono. Alcuni, dalle nostre parti, la chiamano 'cospirazione della speranza'.

sabato 9 febbraio 2008

Cammini aperti e da aprire

Cammini aperti

Graças a Deus, come dicono sempre qui, ci sono le nostre comunitá! Gli anni di lavoro pastorale in questa regione hanno portato frutti vivi: settimana scorsa abbiamo realizzato la nostra assemblea annuale delle comunitá cristiane che accompagnamo (sono 27, varie in cittá, altre in un raggio di 50-100 km).
É stato un momento di grande respiro! Protagonista é la gente, gente che costruisce comunitá, celebra e promuove i diritti e i doveri per tutto l'anno, malgrado noi li visitiamo solo ogni tanto...
Dall'assemblea sono emerse le prioritá per il nostro 2008: cittadinanza e partecipazione, promozione dell'ambiente, piccole comunitá di base e visita alle famiglie, mezzi di comunicazione. Sono cammini aperti che vengono da lontano e che ci aiutano a non perdere la strada. Che Dio ci accompagni!

Cammini da aprire

Allo stesso tempo, come missionari, dobbiamo stare con queste persone aprendo cammini e visioni nuove. E portando la loro voce fuori dagli spazi ristretti in cui sono nascoste.
Per questo ci stiamo giá muovendo verso il prossimo Forum Sociale Mondiale, che si realizzará a Belém, in Pará, a gennaio 2009.
Questo scenario internazionale sará l'occasione perché la nostra gente 'respiri il mondo' e allarghi i suoi orizzonti. Ma anche un'opportunitá per lanciare denunce e azioni che recuperino la dignitá dell'ambiente e dei lavoratori delle nostre zone.
Stiamo lavorando molto su questo, in una prossima lettera racconteró.
Mi colpisce una coincidenza significativa: a Belém, quasi cent'anni fa, é morto un santo missionario, lebbroso tra i lebbrosi. Ed era del mio paese! Padre Daniele da Samarate, compagno di cammino dal giorno dei miei primi voti... mi aspettava qui e lo ritrovo con sorpresa: anche a lui chiediamo di indicarci la strada!
Che bella occasione, sarebbe, perché anche il mio paese e la mia parrocchia si spostassero all'incontro con il mondo nella terra di padre Daniele, dopo tanti anni...
Il Forum Mondiale come spazio di incontro, progetto sempre in costruzione per un mondo piú umano, occasione di gemellaggi, esperienze di vita e di chiesa che si incontrano e si alleano. La missione, oggi, passa anche attraverso questi spazi. Facciamocene carico tutti insieme!

Come creature

Stare dentro la realtá, qui da noi, significa assumere il dolore della Creazione.
Per i missionari é sempre stato decisivo quel versetto dell'Esodo (3,7) in cui il Signore della Storia dice “Ho udito il grido del mio popolo e sono sceso a liberarlo”. Le nostre scelte spesso si orientano a partire da questo clamore, a cui proviamo a rispondere immergendoci (scendere) e partecipando con la gente al cammino di liberazione.
Ma oggi, tanto forte quanto il grido del popolo, ci ferisce il silenzio assordante della vita che giá non c'é piú. Contesti ambientali completamente distrutti, equilibri spezzati, deserti di monoculture al posto di ecosistemi ben integrati con il lavoro dei piccoli produttori, progetti minerari che stanno seccando le viscere della nostra terra e della gente che la abita...
In una catena, l'anello piú debole é il primo ad essere schiacciato; quando la vittima é senza voce, tutto risulta meno grave e appare meno violento.
La Creazione soffre qusta discriminazione senza poter alzare la voce (e quando lo fa é tutto d'improvviso, nei disastri naturali).
In questo senso, occorre completare il versetto dell'Esodo: “Ho ascoltato un silenzio preoccupante e innaturale. Per questo, sono sceso a restituire voce e vita a questa terra ferita”.

Un vescovo, il digiuno e la morte

Una delle persone che sta riuscendo a scendere, ascoltare e amplificare la voce di queste ferite é dom Luís Flávio Cappio, vescovo francescano in Bahia. Ormai da 11 giorni sta digiunando e pregando in riva al rio São Francisco, che il governo brasiliano vuole letteralmente spostare, per risolvere il grave problema della secca nelle regioni del nordest del Brasile.
Senza entrare in dettagli, si tratta di un progetto faraonico che foraggia grandi imprese di costruzione e stimolerebbe la produzione agricola latifondiaria. Esistono da anni alternative documentate, con impatti e costi molto minori, rivolte ai piccoli produttori locali.
É in loro nome, quasi dando voce anche al fiume, che dom Luís sta digiunando. Dice che di fronte a questi colossi organizzati anche il Vangelo suggerisce come unica soluzione il digiuno e la preghiera. Ed é disposto a continuare fino alla morte (tanto che qui giá in molti parlano di martirio). Il gesto di questo vescovo sta provocando molte reazioni di solidarietá e iniziative di protesta locali, aggregando forze e risvegliando coscienze.
“La Creazione stessa geme e soffre le doglie di un parto, aspettando la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8). Dom Luís si sta rivelando figlio di Dio e fratello universale di tutte le creature, facendosi carico del loro dolore. E ci invita a fare lo stesso.

In questi stessi giorni, una bimba é morta di denutrizione, in una delle regioni della nostra parrocchia. Il digiuno é una scelta per la vita; Maria Vitória é invece espressione di una sconfitta.
É fallimento di tutti: la comunitá che non ha saputo accompagnare il caso, noi che ci siamo mossi troppo tardi, il Consiglio Tutelare dei diritti dei bambini che si é omesso, l'ospedale che l'ha scaricata irresponsabilmente.
Perché il sogno di Dio si spezza cosí facilmente? Sono troppo forti, ancora, le logiche marce di interesse personale, accumulazione, irresponsabilità, impunitá. Viene voglia di gridare, ci sentiamo impotenti e arrabbiati, non capiamo bene come sia meglio muoverci.
Tornano le domande di tutti i giorni: da che parte andare? Stiamo facendo le scelte giuste? Cosa vuol dire essere missionari qui?
Non ci sono risposte, bisogna tenere occhi e orecchie ben aperti. La Parola e la storia, un grande ascolto e... l'aiuto di Dio!

Un 'altro' Natale

Sta arrivando un altro Natale e torno a scrivervi dal Brasile, ricordandomi dei Natali vissuti a São Paulo e tanto diversi dal nostro clima invernale. Qui fa molto caldo, sta arrivando la stagione delle piogge (con grande ritardo)... eppure anche qui Babbo Natale ha il giubbotto rosso e il cappello di lana! Poteri del consumo globale e di questi idoli che lo rappresentano...

Condivido qualche povera riflessione, che mi aiuta a fare il punto del cammino fin qui (5 mesi).
Mi colpisce, in questo tempo di Avvento, la forza straordinaria del sogno che Dio ci mette davanti.
I testi di Isaia e del Vangelo hanno un respiro e una passione 'esuberanti', utopici, esagerati. Spalancano dimensioni che non osiamo immaginare, provocano alla speranza: tutti i popoli correndo verso lo stesso monte di Dio, spade che si trasformano in vomeri, lance in aratri. Pace universale e riconciliazione dei nemici (il lupo e l'agnello, il bimbo e il serpente). Il banchetto di Dio che é festa soprattutto per gli esclusi, accoglienza e vita per zoppi, ciechi, muti...
Eppure, leggendo da qui, mi accorgo che in questi stessi testi non si nasconde il dolore, il peso della realtá: il violento e l'empio ancora dominano la scena. Gerusalemme é macchiata di sangue.
La Bibbia non é ingenua e descrive bene la storia anche di oggi.
Racconta di un germoglio che spunterá... ma qui sentiamo il dolore della natura e della vita spezzata. Racconta di un 'resto', una piccola minoranza che continua a sperare... e anche qui crediamo fermamente in questa speranza: é il motivo che ci resta per continuare a vivere!
Il nostro sperare non é solo aspettare passivo. Un canto molto bello del tempo della dittatura dice “Quem sabe faz a hora, não espera acontecer” (Chi ha capito anticipa le cose, non aspetta che succedano da sole).

Capire

Giá: capire, anticipare le cose. Ma come?! É la domanda che ci assilla ogni giorno: da che parte andare? Stiamo facendo le scelte giuste?
Stando qui cominciamo a sentire –come cappa opprimente- il peso di una realtà che stenta a cambiare. L'unica risposta é... assumere la sfida, fare di questa passione e preoccupazione il centro della nostra vita. Farci carico della realtá di qui, lasciare che occupi interamente e unicamente in nostro cuore.
“Avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo” significa non passare indifferenti, giorno per giorno, al silenzioso grido di agonia di questa realtà ambientale e sociale, al degrado progressivo dei valori che vengono consumati. E starci dentro con tutte le forze, come dice la Parola e come richiama il maestro Dossetti (per me il senso della vita consacrata si riassume cosí).

giovedì 7 febbraio 2008

Credi nei germogli?


Si chiamava Maria Vitória. Abitava nell'assentamento Nova Vitória.
Ma la sua morte denuncia la sconfitta di tutti e di ciascuno.
Era una bimba denutrita, figlia di una famiglia troppo complicata: la mamma con problemi mentali, il papá senza lavoro e spesso in compagnia dell’alcool, un bel numero di fratelli piú grandi. Ma dopo molte sofferenze, la sua situazione sembrava ben incamminata: finalmente una famiglia adottiva che aveva i mezzi per curarla e mantenerla.
L'ospedale l'aveva dimessa da due settimane, dicendo che era fuori pericolo... ora occorreva solo continuare con l'idratazione e l'alimentazione.
Invece venerdí é morta. Il consiglio tutelare non ha avvisato nessuno. Siamo venuti a saperlo per caso e siamo corsi al cimitero: l'avevano appena sepolta (il becchino, il papá adottivo e due consiglieri tutelari).
In mezzo a un bel po' di altre tombe di bambini, molte ormai coperte dall'erba alta piú di un metro... per arrivare fin lá sicuramente ne abbiamo calpestate alcune.
Sconfitta della comunitá locale. Sconfitta degli agenti di salute dell'assentamento; del consiglio tutelare; dell´ospedale; di questo municipio che é il secondo piú ricco del Maranhão ma che ancora vede morire bambini denutriti.
Questa storia non passa solo nel rimorso, sia chiaro. Vogliamo andarci fino in fondo. Ma intanto Maria Vitória ha perso la vita.
Il Vangelo di oggi parlava di un germoglio che spunterá... e stamattina pregavo sull'urgenza di vedere germogli spuntare, per capire dove e come coltivare... in qs terra violentata e ferita. Invece un altro germoglio spezzato... non so se é piú forte la rabbia o la delusione.
Ma non siamo noi quelli da consolare... e forse nemmeno questa gente, che ormai alla morte si é abituata.

E se somos Severinos
iguais em tudo na vida,
morremos de morte igual,
mesma morte severina:
que é a morte de que se morre
de velhice antes dos trinta,
de emboscada antes dos vinte
de fome um pouco por dia
(de fraqueza e de doença
é que a morte severina
ataca em qualquer idade,
e até gente não nascida).

lunedì 4 febbraio 2008

Le sofferenze del momento presente

Spesso, stando qui, comincio a sentire –come una cappa opprimente- il peso di una realtà che stenta a cambiare.
Avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo significa non passare indifferenti, giorno per giorno, al silenzioso grido di agonia di questa realtà ambientale e sociale, al degrado progressivo dei valori che vengono consumati.
Ci sono due corpi di cui ci dobbiamo prendere cura. In Italia mi sono concentrato molto sulla cura del corpo (=vita intera) di ciascuna persona. Qui mi è affidato il corpo delle comunitá e, ancor piú in generale, il corpo di questo sistema malato.
Nei testi apocalittici del Vangelo (cf. Lc 21,8-28) c’è gente che non vuole vedere questa sofferenza e si ferma alle ‘belle pietre e offerte votive’. Ci sono persone che si rendono conto, ma accolgono con paura e impotenza i segni di morte (fame, terremoti, disordine cosmico). C’è, infine, la speranza del Vangelo, che dice “la vostra liberazione è vicina”, “non sará la fine”, “con la vostra resistenza (hypomoné) salverete le vostre vite”.
Cos’è, questa speranza? È partecipazione (immersione) alla sofferenza di tutto il creato: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”.
Comblin dice: “Sperare non é solo desiderare. E’ obbedire (anticipare profeticamente) al cammino che Dio ci mostra”. Stare dentro questa realtà, facendosi carico (hypomoné) delle sue attese.
Quando faremo questo, ci riveleremo per quello che siamo: Figli di Dio, a sua immagine e somiglianza, appassionati come Lui e completamente dediti, come Lui, alla attesa creativa del Regno (“il Padre mio lavora e anch’io lavoro” Gv 5,17).

“Giustizia e Pace si abbracceranno”. Le immagino come due sorelle che si sono perse, in questa coltre di violenza e degrado. E si cercano incessantemente, e cercandosi coinvolgono altri ‘cercatori’, per aprire strade nuove, sperimentare cammini inediti. Prima o poi si vedranno, a distanza, e la creazione tutte intera parteciperá alla corsa e all’abbraccio preparato da tempo.
Boff prova a spiegarlo, in termini piú concreti, che mi piacciono:
“Quando il pericolo è grande, è grande anche la possibilitá di salvarsi. Quando, tra pochi anni, arriveremo al cuore della crisi e tutto sará in gioco, sará valida la massima della sapienza ancestrale e dei primi cristiani: “In caso di estrema necessitá, tutto diventa comune”. Capitali, saperi e averi saranno condivisi tra tutti, per poter salvare tutti. E ci salveremo, con la terra.

Quale povertá?

Chiamati a rispondere alle povertá della gente.
Mi accorgo un po´ di piú che le povertá sono molto diverse...

Lá in Italia sentivo e sento ancora forte la sfida di uma societá che si sta sgretolando, che ha perso molti punti di riferimento, che si é consumata, in tutti i sensi.
Sento che qs sfida la devo raccogliere anche da qui, in qualche modo.

Laura scrive dall´Angola distinguendo la povertá violenta e caotica delle periferie di Luanda e la povertá 'ordinata' e dignitosa delle zone interne dove ha lavorato. Le contraddizioni di una baraccopoli presentano sfide molto diverse dall´isolamento e dalla mancanza di risorse della gente nei campi.

E qui? Quali povertá ci interpellano?
Ho trovato una cittá piuttosto ricca (é la seconda cittá piú ricca del Maranhão, per via delle risorse minerarie, della terra e degli allevamenti; anche qui, ovviamente, la media é sulla base del grande contrasto ricchissimi\miseri). Mi ha fatto impressione l´appiattimento culturale: qui se entri in un supermercato non capisci piú se sei in Brasile, Italia o chissá dove... Dieci anni fa non mi sembra fosse cosí facile trovare di tutto in Brasile... qui c´é il Valpolicella, quasi tutti hanno il cellulare e la cittá é piena di internet-café (e geograficamente siamo abbastanza isolati rispetto ai grandi centri!).
Davvero in poco tempo tutto rischia di diventare uguale.

E allora? Quali povertá?
Mi sembra, a prima vista, di vederne tre nelle quali siamo chiamati ad impegnarci molto:
- povertá religiosa:
qui tutti parlano di Jesus (c´é anche una bevanda e una compagnia di trasporti che si chiama Jesus!), molte chiese diverse ed alienate; la maggior parte della chiesa cattolica che ha fatto l´opzione carismatica (nel migliore dei casi si ottengono parrocchie come quelle che abbiamo in Italia, né piú né meno... nel peggiore, di nuovo, alienazione totale). Tenere viva una chiesa che lotta e promuove la vita, che tesse l´impegno per la giustizia nel cammino ordinario delle comunitá, recuperare i valori della teologia della liberazione: ecco il nostro compito
- povertá di cittadinanza
figli di una politica di corruzione e clientelismo, da decenni... é ovvio che la gente del Maranhão ancora oggi cerchi solo alleanze e favori. La partecipazione é un valore distante, cosí come la fiducia in una politica sana e la difesa dei diritti fondamentali. Su questo piano possiamo esplorare orizzonti nuovi di impegno: in che modo una comunitá cristiana si puó rendere presente nel territorio con proposte attive di cittadinanza, organizzazione, pressione consapevole sui poteri pubblici e vigilanza?
- povertá ambientale
ci sono tanti problemi, qui, e tante vittime. Ma una vittima silenziosa, che prenderá la parola tutta in una volta, quando non ci sará piú nulla da fare, é l´ambiente. Per questo la Provincia dei comboniani ci chiede di concentrarci su questa sfida: la difesa dell´ambiente come sfida urgente e prioritá per noi.

sabato 2 febbraio 2008

Impressioni

Impressioni…

Açailândia é la terra che mi ha accolto, il 19 luglio.
C’è voluto un bel po’, a dire il vero… 24 ore tutte intere di aereo per arrivare a São Luís, e altre 10 di treno attraversando tutto il Maranhão. Sembravano terre tutte uguali, quelle attraversate: pascoli e terra bruciata.
‘Disorientato’, è la parola giusta per il mio arrivo, immerso in una terra uguale a tante altre, nascosto nel cuore di questo popolo tutto da riscoprire, molto diverso da São Paulo.

Açailândia deriva da Açaí, un frutto gustoso di una palma che… qui giá non c’è piú. Biglietto da visita scaduto, per una cittá che ha solo 26 anni di vita (io piú vecchio di lei!).
In questi pochi anni la foresta è stata tagliata, fatta a pezzi e rivenduta. Dieci anni fa c’erano 60 segherie tutte nella stessa cittá, ora stanno chiudendo l´ultima.

Tanti camion di legna, carbone o minerale attraversano la cittá, di giorno e di notte. Li accoglie, all’entrata, un 'monumento' che è un inno al saccheggio: un grande tronco di foresta nativa, innalzato come un dolmen a ricordare che qui la gente ha sempre vissuto di disboscamento.

Ora molti si sono buttati nell’allevamento. Siamo la zona con maggior produzione di carne di tutto il nordest del Brasile. Proprio ieri si discuteva dell’equilibrio strano che qui occorre mantenere tra diritti dell’uomo e diritti delle vacche (o meglio: dei loro padroni).

Ricordo al GIM in Italia Matteo e Marisa, tornando dal loro stage in Belgio, raccontavano del porto di Rotterdam, il piú grande d’Europa.
Ora mi trovo dall’altra parte dell’imbuto: Carajás. Una delle terre piú ricche di minerali del Brasile, da qui prendono tutto, caricano sulla ‘strada di ferro’ fino a São Luís e esportano in tutto il mondo.
Ma il conflitto resta qui.

I comboniani questa volta hanno capito bene qual era il posto giusto, e si sono stabiliti esattamente nel cuore di un conflitto che esprime bene le contraddizioni del consumo di oggi.
Sono qui da vent´anni e hanno lavorato molto bene con le comunitá cristiane.
Trovo una chiesa molto ben organizzata, dove i laici sono attivi e sono stati preparati molto bene. Grazie a Dio, altrimenti come avere cura di tutta questa gente, piú di sessantamila nella nostra parrocchia (senza contare la terra ed il suo grido, direbbe la Bibbia)?

Ma trovo anche persone ‘consumate’ dal sogno del consumo: lo spirito di lotta, impegno e partecipazione di alcuni anni fa si è molto affievolito. La religione per molti si riduce a consolazione o fuga; alla dottrina sociale della chiesa si sovrappongono gli ‘Osanna’, piú facili da cantare e meno impegnativi per gli stessi preti di qui… (salvo eccezioni a cui subito mi sono stretto!)

Devo reimparare la lingua semplice della gente, ma insieme dobbiamo ‘portarci oltre’…
Nei giorni della mia partenza era il libro dell’Esodo a condurre la liturgia: lo ritrovo qui, scritto per terra, con tracce confuse da identificare insieme.

Sono impressioni gettate in questo mese, in risposta a chi mi chiede di qui.
Piú avanti racconteró meglio, ora è soprattutto per camminare in comunione, pregare gli uni per gli altri.

Ci accompagna Gesú di Nazareth e la sua Parola, che qui sento viva e nuova!

Un forte abbraccio,
dário

venerdì 1 febbraio 2008

i primi passi...

19 de julho 2007
cheguei!

Altre dieci ore di treno per entrare nel cuore del Maranhão. Arrivi e l´orizzonte desmatado con poche piante si stende tutto attorno, molte bruciate per lasciare spazio ai pascoli, e parecchie pinatagioni di eucalipto per le carvoarias...
ti senti un po´... nel mezzo di niente!
La prima reazione é stata: ma dove sono finito? E perché fin qui?
Tornano le domande sul senso dell´andare tanto lontano, sul ruolo di noi missionari...
Sento forte la Parola di oggi, che intendo come un vero e proprio invio, una Parola detta a me.

Mosé che si mette nei panni degli ebrei: “Mi chiederanno: e chi é che ti manda? Come si chiama?”. E Dio che gli risponde IO SONO ti manda... e il mio nome é il Dio dei vostri padri, il Dio della storia.
E il Vangelo che dice: venite a me voi tutti affaticati e oppressi, portiamo insieme il giogo.
Di che giogo si tratta? Osea lo spiega: un giogo che Dio pone al suo popolo per arare secondo giustizia e piantare secondo amore, per cercar il Signore, perché lui spargerá i frutti.
Ecco, questa Parola davvero mi invia e sento realmente che sono chiamato qui, per cercare, per imparare, per lavorare sodo con questa gente e aprire un solco per la giustizia!

Immerso in questa terra lontana e profondamente dentro allo stato del Maranhão, capisco la relativitá di questo luogo, uguale a tanti, e proprio per questo importante per me, come missionario. Entrare nel cuore della gente, nella vita, speranza, gioie e preoccupazioni di tanti, coindividendo l´esperienza di alcuni, i 'pochi' che riusciró ad incontrare.

Il viaggio di treno mi fa conoscere subito la violenza che poi incontreró all´arrivo: al nostro fianco, sui binari, sono parcheggiati almeno 300 vagoni carichi di ferro, pronto per il trasporto via nave verso gli USA, il Giappone o la Cina.
23mil tonnellate, calcolo, solo in quel giorno. Dicono che manca poco perché l´industria estrattiva arrivi alla soglia di 2 miliardi di tonnellate di ferro prelevato, strappato dalle viscere della nostra terra ed esportato.
Sulle condizioni di qs processo credo che impareró molto a breve.