lunedì 18 dicembre 2023

Aguzzare la vista per scorgere segni di Pace

Pace!
La chiediamo con forza, in questo tempo di Natale.
“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”, profetizza Isaia. Per riconoscerla, nell’oscurità di tante situazioni, occorre camminare e aguzzare la vista.
Non starsene fermi, anestetizzati. Non farsi accecare da tanti bagliori senza orizzonti. Cercare, sperare, avere fiducia, ascoltare i piccoli segni della realtà e dello Spirito.
Sarebbe bello vivere il Natale così, come un cammino notturno, fatto di silenzio, di preghiera e ascolto, di attesa.
Ce lo chiede questo mondo in frantumi, a partire dalla Palestina distrutta e agonizzante; ce lo chiede la Madre Terra, che non riesce a reggere il nostro modo di vivere.

Ma ne sentiamo bisogno anche nella vita quotidiana, nei dolori e nelle attese delle nostre famiglie. Un Natale in cui possiamo raccontarci la speranza, gli uni agli altri. Cos’è che, malgrado tutto, ci tiene vivi e ci dà senso? Un Natale per andare a fondo in questa ricerca… e così non affondare.

Da parte mia, condivido alcune brecce di luce, come quella dei movimenti popolari e delle persone di strada, che negli ultimi anni sono aumentate molto, in Brasile: recentemente, l’organizzazione di questa gente è riuscita a far approvare una politica pubblica statale per prevenire nuove situazioni di abbandono, per prendersi cura di chi vive oggi senza tetto e per ricostruire prospettive di vita per lasciare la strada.
Il lancio di questo progetto politico è avvenuto nel palazzo presidenziale, a Brasilia, con il Presidente della Repubblica, varie autorità e diversi rappresentanti della gente di strada, nello stesso spazio.
Mi fa pensare a una politica con i piedi per terra, dal punto di vista dei marciapiedi e non solo delle autostrade…

Nei prossimi giorni, una commissione della Chiesa brasiliana visiterà il popolo Ka’apor, nel Maranhão. Indigeni che si vedono sempre più invasi dal disboscamento clandestino, dai latifondiari e dall’estrazione mineraria. Hanno perso la fiducia nella protezione dello Stato, però si stanno organizzando con collettivi di autodifesa chiamati “Guardiani della foresta”, che realizzano un monitoraggio permanente dei loro territori e una mappatura partecipativa.
Mi fa pensare a una Chiesa che si fa gregge per imparare a essere pastora…

In questi mesi, in Equador i giovani studenti, le famiglie e le comunità cristiane si sono unite in un referendum storico, che ha smosso milioni di persone e ha approvato la scelta di lasciare il petrolio nel sottosuolo, nella regione amazzonica di Yasuni, per preservarne la biodiversità.
Allo stesso modo, in Panamá, la protesta popolare -appoggiata anche dai vescovi, che sono scesi in strada con la gente- è riuscita a cancellare concessioni minerarie e impedire che lo Stato si vendesse alla voracità delle imprese predatorie.
Mi fa pensare a nuove forme di economia, decoloniali, che si possono imporre quando la gente si organizza e si muove…

Scorgere segni di luce ci aiuta a non perderci. Chissà che non sia il miglior regalo che possiamo farci, nella notte di Natale? Meno cose e più segni, di affetto, di condivisione, di comunione con la vita dei popoli e della Terra.
Buon Natale!

sabato 8 aprile 2023

Tiriamo fuori la Pasqua dalle nostre chiese!

Cari amici, care amiche, il mondo ha sete di Pasqua e non possiamo intrappolarla nella liturgia del Triduo che abbiamo celebrato.
Ogni celebrazione raccoglie la vita, con le sue ferite e speranze, e la rilancia fuori, per dare corpo alla Parola e alla storia di Dio con noi.
“Non mi trattenere, va’ dai miei fratelli” che sono ancora rinchiusi nelle loro paure.  

Conosciamo tanti sepolcri che ancora ci soffocano: la depressione, poca luce per vedere il futuro, la rottura di relazioni importanti, una malattia che non riusciamo ad accogliere e affrontare…
E poi le ferite di tutti, quelle di un mondo fatto a pezzi perché con le armi e con il petrolio si può ancora guadagnare, calpestando la vita…
In tutte queste situazioni spesso ci sentiamo persi, o abbandonati dagli amici e da Dio.

Nei Vangeli, il Risorto si manifesta in questa quotidianità di entusiasmi spenti, di gente disorientata. È un compagno di cammino che ci apre gli occhi e ci fa tornare di corsa sui nostri passi di sempre; è un amico che ci chiama per nome e riconosciamo dalla voce; è qualcuno che ci spiega la storia con la luce della Parola di Dio…

Dona Rosária è una signora anziana, molto viva nella fede semplice dei piccoli e ancora impegnata in parrocchia. Il venerdì santo ha voluto essere luce per i prigionieri e, come sempre, li ha visitati a nome della Pastorale Carceraria, di cui fa parte.
Questa piccola luce di Pasqua che ha portato a gente sepolta per anni in prigione l’ha anche dimenticata accesa in casa: una candela che usava per la preghiera e il ricordo dei suoi morti, nel Triduo Pasquale, si è trasformata in un incendio violento, che ha distrutto la casettina semplice, rifugio per lei, la figlia e i due nipoti. Nessuno si è fatto male, ma il disastro è grande.

Parlando con loro, pensavo di trovare rammarico, rabbia per la distrazione della mamma, protesta perché queste cose accadono sempre sulla pelle dei più poveri…
Mi ha sorpreso, invece, la gratitudine: per la vita conservata, per i vicini che hanno salvato parte dei mobili, per la solidarietà che stanno ricevendo nella ricostruzione, un grano di speranza per volta…

Vi auguro questa speranza, anche nei momenti duri o più confusi.
Vi auguro di sentire la voce e i passi del Risorto, che si fa sempre vicino e compagno di cammino!

mercoledì 15 dicembre 2021

Cammini d'Avvento

Oltre al presepe, in Brasile molte famiglie preparano piccoli “altari” dentro di casa, con i simboli religiosi per loro più forti e carichi di speranza.
In una delle case, l’immagine indigena della Madre di Guadalupe era posta in una piccola canoa. Molto significativo, in questi tempi duri di “travessia”, attraversamento della tempesta in cui il nostro paese si trova da più di due anni. 

All’inizio della pandemia, Papa Francesco ha attraversato, camminando da solo sotto la pioggia, la piazza vuota di San Pietro: ha condensato in un simbolo la situazione di molti popoli e famiglie fragili, in un cammino insicuro e al buio, che ci fa affannare. 

Qui in Brasile, come sapete, la tempesta è molteplice: una crisi sanitaria con gravi responsabilità del Governo, una crisi economica di nuovo a livelli di emergenza (19 milioni di persone soffrendo la fame, 72% della popolazione del Nordest in insicurezza alimentare), la crisi della democrazia, con il potere di estrema destra che contamina una società sempre più razzista, violenta e armata, e la crisi ambientale, con la natura soffocata e i popoli originari in grave pericolo.

Eppure, quanta energia si sente nella resistenza della gente! Ve la racconto brevemente nei passi delle mie domeniche di Avvento.
La prima settimana ho potuto celebrarla insieme alla “mia” comunità di Piquiá, in Maranhão, dove ho vissuto per dieci anni. Come ricordate, è una comunità che resiste, che continua a denunciare la violenza dell’inquinamento e la distruzione delle imprese minerarie e siderurgiche che le rubano dignità, goccia a goccia. Da tempo, una delle rivendicazioni è la ricostruzione del quartiere in una regione non inquinata. Il cantiere sta andando avanti, con molte sfide e un enorme quantità di lavoro.

Proprio nei giorni in cui ero là, si è conclusa la copertura del tetto dell’ultima delle 312 case in costruzione. Un simbolo potente, per l’Avvento della nostra gente, che ha molto bisogno di toccare con mano segni concreti di speranza, costruita collettivamente!

Abbiamo celebrato l’Eucaristia nella chiesetta povera di Piquiá de Baixo, consegnando a ciascuno un seme di moringa, una delle piante più ricche di elementi nutritivi. Con il seme in mano, ciascuno ha condiviso la sua speranza e si è impegnato a piantarlo, averne cura, portare il primo germe attorno al piccolo presepio della chiesa nella notte di Natale e poi riprenderlo per trapiantarlo nel luogo che più ama (il cortile di casa o il nuovo quartiere in costruzione, per esempio). 

Subito dopo sono partito per un’altra regione del Maranhão, per partecipare alla riunione delle Pastorali Sociali: la pastorale della terra, quella indigena, la pastorale carceraria, quella degli ammalati di AIDS, quella della salute o dei diritti dei bambini e degli adolescenti…
È stato un fine settimana intensissimo, ascoltando la situazione della gente e di una fetta di Chiesa profondamente attenta alla vita, soprattutto dei più poveri, tra di essi “nostra sorella madre Terra”. Sono momenti in cui si sente nella carne la Chiesa viva del Sinodo dell’Amazzonia, che continua -pur meno visibile- a tessere la speranza dei piccoli alla luce della fraternità universale e cosmica che ci insegna Papa Francesco.

La terza domenica di Avvento l’ho passata… in isolamento! Immergersi tra la gente ha le sue conseguenze, tra cui può esserci pure il Covid. Grazie a Dio e alla ricerca scientifica, il vaccino ha aiutato molto e i sintomi sono stati leggeri. Tempo per moltiplicare i contatti online, perché nel frattempo stiamo organizzando il Forum Sociale Panamazzonico, in cui la nostra rete REPAM si apre all’incontro con i movimenti popolari di questo immenso bioma, come il Papa ci chiede di fare, Chiesa in uscita, costruttrice di ponti!

La tempesta continua forte, in Brasile. Ma ci piace sentire, nella barca, la presenza della Madre di Guadalupe, nell’attraversamento insicuro e carico di attesa dell’Avvento, un po’ come dev’essere stato il suo cammino ansioso e assetato di speranza verso la casa di Elisabetta.
Proprio in novembre si è realizzata in Messico l’ultima tappa dell’Assemblea Ecclesiale di America Latina e Caribe, consacrata alla Guadalupana, protettrice del continente. Non più solo l’alta gerarchia istituzionale, ma i rappresentanti di tutta la Chiesa (20% vescovi, 20% presbiteri, 20% religiosi-e e 40% laici e laiche!), in ascolto della realtà e della Parola che la illumina. Segni di speranza per una Chiesa che si rinnova e cammina a larghi passi verso il Sinodo mondiale. Smontando privilegi, restituendo spazi di decisione alle donne, ripartendo dai piccoli e dalle periferie.

Santa Maria del Cammino, madre indigena dei nostri popoli, non lasciarci soli in questa travessia!

La religione in tempo di pandemia: vecchi interessi e nuovi percorsi

Un servizio essenziale: senza speranza non si sta in piedi. La forza della fede, in questo lungo tempo di pandemia, è uno dei pochi appigli che danno sicurezza alla gente.
Vari leaders religiosi rivendicano, per questo, che le celebrazioni pubbliche siano riconosciute essenziali e siano permessi incontri con molte persone. Ma la fede si sta muovendo anche lungo altri cammini: le famiglie si organizzano nelle loro case, nascono gruppi di preghiera e riflessione online. Alcune diocesi offrono materiali popolari interessanti, per incontri comunitari più piccoli, autogestiti, che non provochino assembramenti. Li chiamiamo “Rodas de conversa”, un ottimo strumento di spiritualità e educazione popolare nato con le comunità ecclesiali di base.

Eppure alcune chiese, soprattutto del filone neopentecostale, alzano sempre di più la voce.
Rivendicano il diritto a grandi celebrazioni e raccolta di offerte, disputando e conquistando nuovi fedeli in cerca di appigli di sicurezza spirituale.
Criticano la quarantena e le misure preventive, garantiscono che con fede, acqua benedetta e clorochina la cura è garantita.
In cambio, provocano i fedeli a fidarsi più della Provvidenza che dei sussidi pubblici, peraltro ora ridotti ad un livello minimo. Sfidano la gente a donare alle chiese anche ciò che fosse essenziale alla sopravvivenza, perché “il Signore ricompenserà”.

Il presidente Bolsonaro, fin dalla sua campagna elettorale, ha stretto una alleanza strategica con chiese e gruppi fondamentalisti, sia neopentecostali che cattolici.
In questa sintonia satanica, il messaggio religioso e politico stimola un ethos eroico: il popolo brasiliano deve essere coraggioso, sfidando la pandemia e le stesse misure restrittive. L’opzione per l’immunità di gregge e la manutenzione del ciclo di produzione e consumo sta costando quasi 500 mila morti e si sostiene anche grazie al messaggio religioso.

La chiesa cattolica è divisa: un certo gruppo difende ancora le politiche genocide del presidente e il suo fondamentalismo moraleggiante. Un altro settore, cosciente e impegnato, prende posizione attiva e fortemente critica. La maggioranza, attenta soprattutto alla crisi umanitaria, organizza con fedeltà e impegno una rete di sostegno e solidarietà. Inoltre, promuove spazi di ascolto e di rifugio spirituale, occasioni di rivitalizzazione, che però possono trasformarsi in isolamento autoreferenziale.

Si moltiplicano, nei social media, messaggi di autostima e counselling spirituale. Guru e maestri di vita cattolica, con milioni di followers, conducono flussi paralleli di cristianismo e spiritualità, spesso autonomi dal magistero della chiesa, slegati da qualsiasi processo comunitario e dall’impegno per la trasformazione delle condizioni strutturali che stanno provocando tanto dolore.

Cercando di valorizzare il laicato con un protagonismo responsabile, la chiesa cattolica sta insistendo sulle dinamiche sinodali, che fomentino la partecipazione ed il senso di appartenenza costruttiva delle comunità. Così come, a livello mondiale, si sta preparando un lungo cammino sinodale sul tema “Partecipazione, comunione e missione”, che culminerà in ottobre 2023, nel nostro continente è già in corso l’Assemblea Ecclesiale di America Latina e Caribe, ora nella sua fase di ascolto e consulta.
La porta di entrata è una analisi lucida della realtà e delle sue sfide. Ma i tempi brevi e la situazione della pandemia lascino una domanda aperta: sarà un’Assemblea capace di mobilizzare e riunire i fedeli? La dinamica sinodale riuscirà a risvegliare il gusto di nuove forme di partecipazione nella Chiesa?

domenica 6 giugno 2021

Quando le vittime alzano la testa

Mattina presto. Una retata antidroga invade la favela di Jacarezinho con decine di poliziotti incappucciati, elicotteri, mezzi pesanti. Si sente odore di morte.
Quando uno dei poliziotti viene colpito alla testa da uno sparo, l’attacco si fa ancora più violento. 


Le fucilate della polizia raggiungono la stazione del treno che attraversa la favela. Due persone sono colpite dentro un vagone. Le case sono invase senza mandato del tribunale; fotografie, alla fine dell’operazione, mostrano pozze di sangue nella camera da letto e pareti schizzate di rosso.

Gli abitanti di Jacarezinho e avvocati popolari denunciano esecuzioni sommarie. Gli stessi agenti filmano il risultato del loro “lavoro”, al punto di mettere in posa un cadavere e ridicolizzarlo.
Poi, portano via i corpi avvolti in lenzuola, come se fossero sacchi di tela, eliminando il corpo del delitto e impedendo indagini chiare.
Cinque ore di operazione, 28 morti. La strage più grande della polizia nella città di Rio de Janeiro. Molti dei corpi uccisi non sono ancora stati riconosciuti, ma il Vicepresidente della Repubblica, un militare, dichiara che “non ha certezza assoluta, ma devono essere tutti banditi”.

Negli stessi giorni di inizio maggio, in Colombia, 47 persone sono assassinate dalla repressione della polizia, determinata dal Presidente Ivan Duque contro le immense manifestazioni pubbliche di protesta in corso. Lo squadrone di sicurezza Esmad, simile al Bope della polizia militare di Rio, è una forza letale, un vero e proprio esercito di strada.
In Colombia le proteste sono contro le misure neoliberali del governo, una riforma tributaria “al contrario”, che sacrifica ancora di più i poveri. Ma denunciano anche lo sgomento per la lentezza delle vaccinazioni e la rabbia per la sospensione del processo di pace e dialogo con le FARC.

Da più parti, nel continente, la protesta della popolazione è affrontata in un clima di guerra, repressione e tortura. Eppure, in vari paesi non si fermano le manifestazioni di piazza, malgrado il limite della pandemia.
Negli Stati Uniti, il movimento Black Lives Matters ha smosso milioni di persone e ha cambiato il futuro della nazione, incidendo anche sul risultato elettorale. In Cile, la protesta popolare ha finalmente provocato l’inizio di un processo di revisione costituzionale.
In Colombia, finora, ha sospeso la legge di riforma tributaria e ha ottenuto le dimissioni del Ministro della Finanza.

In Brasile, sgomenta l’ipnosi che mantiene molta gente nelle sue case: un misto di disinformazione e manipolazione ingannosa, rassegnazione a causa di mobilizzazioni anteriori che non hanno avuto sbocco, intimidazione della protesta da parte delle milizie locali e opportunismo dei latifondiari e grandi proprietari, che appoggiano lo status quo.
Speriamo che anche il gigante addormentato brasiliano riesca a svegliarsi…

domenica 9 maggio 2021

Il grido della foresta

Con il permesso degli spiriti creatori della terra. Con la preghiera solitaria, al suono del flauto, della sábia Maria Antonia, indigena collegata via internet dal cuore della foresta ecuadoriana.
Con le parole di appoggio e vicinanza di mons. Cob, un vescovo “con odore di Amazzonia”.
In un mosaico di voci e testimonianze dai nove paesi della Panamazzonia, si è aperto, a fine febbraio, l’evento “Il grido della foresta”.

La denuncia di Gregorio Mirabal, leader della COICA, è forte: “Ci sentiamo attaccati da una tempesta di pandemie: quella sanitaria, oggi ancor più grave a causa della variante di Manaus; l’estrattivismo che saccheggia le nostre terre; le crisi climatiche, che aumentano inondazioni, siccità, incendi e malattie nei nostri territori; il razzismo e l’autoritarismo, che minaccia i nostri leaders; il patriarcato, che pesa sulla dignità delle donne amazzoniche”.

Ma l’orgoglio e la speranza indigena sono più forti. Con connessioni online a volte un po’ precarie, il coordinamento della COICA è riuscito a mettere in piedi un evento di due giorni, online, che ha collegato i territori indigeni con alleati di tutto il mondo.

Più di ventimila persone hanno seguito le attività, che alternavano testimonianze locali a manifestazioni di appoggio esterne. Dall’India, la solidarietà è giunta dallo sciopero più imponente della storia, al quale hanno aderito 250 milioni di agricoltori, rivendicando dignità e rispetto del loro lavoro. L’Amazzonia si allea e appoggia, perché, senza radici nel territorio, i popoli perdono la loro identità.
Dall’Inghilterra, in piena notte, si sono collegati giovani accampati in un’azione diretta nonviolenta contro grandi progetti di infrastruttura e trasporto, approvati senza un sufficiente consenso delle popolazioni locali.

Antonio Nobre, climatologo e ricercatore brasiliano, ha lasciato il suo tributo alla sapienza ancestrale indigena: “La nostra scienza occidentale, dominante, è giunta a riconoscere valori e principi che gli indigeni conoscevano da tempo. Il vantaggio è che può renderli legittimi agli occhi della cultura tecnocratica, nel sistema di consumo di oggi”.
Adelaide, dal Belgio, ha solo 20 anni, ma tutta l’autorità morale per fare eco a queste riflessioni, rafforzando l’alleanza con i popoli originari. Fa parte del movimento Youth for Climate Movement, insieme a Greta Tunberg. Giovani che stanno dimostrando che possono spostare il corso della storia.

Mentre tutti gli invitati si alternano nel tessere vincoli con la causa indigena e della foresta, dall’Equador, Yindira e altre donne continuano a prendersi cura del “fuoco sacro” che hanno preparato in vista dell’evento. Sulle braci disposte in un grande circolo, spargono continuamente pietruzze di incenso, come a purificare, proteggere e profumare gli accordi che si stanno siglando tra i partecipanti.

Gregorio, come aveva aperto, prende l’ultima parola per chiudere l’incontro: “Noi non siamo i padroni della foresta, ma suoi figli. E ce ne prendiamo cura. Ma voi, cosa state facendo? Dormite? Svegliamoci! Non c’è tempo da perdere! Abbiamo bisogno di voi!”.

Chi decide il futuro del Pianeta?

In questo momento di crisi globale, su chi puntare per promuovere cambiamenti effettivi, solidi e permanenti?
Gregorio Mirabal, leader indigeno venezuelano, presidente della Confederazione delle Organizzazioni Indigene del Bacino Amazzonico (COICA), dichiara con forza: “Noi, popoli amazzonici, non siamo né i destinatari né gli operatori di scelte politiche sui nostri territori: siamo quelli che hanno preservato l'Amazzonia per secoli. La nostra voce e la nostra conoscenza devono guidare la politica pubblica e la scienza nella sua protezione, non il contrario.”

Papa Francesco ha ribadito questo messaggio nell’esortazione Querida Amazônia: “Il dialogo non deve limitarsi a privilegiare l'opzione preferenziale per la difesa dei poveri, degli emarginati e degli esclusi, ma deve anche rispettarli come protagonisti” (n. 27).

La grande politica, però, viaggia con altri principi e passa al di sopra di questi valori e rivendicazioni. Lo dimostra un possibile accordo, finora tessuto in segreto e senza nessuna trasparenza, tra gli Stati Uniti e il Brasile.
Il presidente Biden si è eletto con un progetto politico ambizioso, estremamente attuale e urgente, sul piano climatico: una drastica transizione ecologica, con riduzione consistente dei gas serra entro il 2030.

Il Climate Summit che ha convocato il 22 di aprile, giornata mondiale della Terra, è stata l’occasione per assumere formalmente questo impegno, in totale rottura con la linea negazionista del suo predecessore, Donald Trump. Inizia, così, un percorso di nuove possibili alleanze verso la COP26 di Glasgow, in novembre, che sarà una tappa decisiva nel tentativo di oltrepassare il minimo possibile la soglia di 1,5oC di riscaldamento globale, rispetto ai livelli preindustriali.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterrez, dichiara spesso che la crisi climatica è molto più grave e allarmante della stessa pandemia, che ci sta mettendo in ginocchio da più di un anno.
Ha quindi molto senso un impegno consistente delle nazioni contro i cambiamenti climatici, assumendo con coerenza il modello dell’ecologia integrale. 

Però, i possibili accordi tra Stati Uniti e Brasile in difesa dell’Amazzonia, come bioma chiave nella strategia di difesa della biodiversità e cattura di CO2, ci preoccupano molto, almeno per tre motivi:
-    vengono realizzati senza coinvolgere direttamente i popoli amazzonici, i primi con il diritto di manifestarsi e con conoscenze e stili di vita che indicano come convivere con la foresta senza distruggerla;
-    preparano una possibile cooperazione internazionale con un governo, in Brasile, apertamente anti-ambientale, anti-indigeno, anti-democratico, negazionista e opposto alle raccomandazioni scientifiche, la cui gestione della pandemia sta provocando sempre più morte e povertà;
-    possono essere uno stratagemma elegante per mascherare l’accesso all’Amazzonia di imprese straniere che riciclano le loro pratiche con operazioni di greenwashing, riproponendosi con il marchio -spesso contradditorio- di “capitalismo verde”.

Chi decide il futuro del Pianeta? Occorrono, senza dubbio, meccanismi urgenti di transizione, accordi formali tra le nazioni e strategie efficaci di cooperazione.
Ma non si tolga la voce e il protagonismo dei guardiani della vita, delle acque, della terra e della foresta, che da tempo ci insegnano qual è il cammino.